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Monti, un anno di lavoro e vivrà di rendita

Il prof è già finito, ma incasserà un vitalizio mensile di 13mila euro. E lo pagano gli italiani che ha tartassato. Il suo sogno nel cassetto per il futuro? Vorrebbe succedere a Barroso, ma è Draghi a stopparlo

Monti, un anno di lavoro e vivrà di rendita

Roma - Finito il bluff, ora Monti che fa? Mistero. Da luglio è rientrato in Bocconi ma come presidente. Carica poco operativa, sorta di pezzo d'argenteria per la blasonata università milanese. Difficile che torni ad insegnare. Il Professore un sogno nel cassetto ce l'ha: lavorare a Bruxelles. Non certo come eurodeputato semplice e commissario: troppo cheap per lui. Gli piacerebbe tanto, invece, prendere il posto di Barroso, presidente della Commissione Ue, in scadenza nel 2014. A sbarrargli la strada c'è però Mario Draghi: difficile, infatti, avere due italiani a capo di Bce e Commissione Ue. Quindi, Monti, cacciato ai margini della vita politica, rischia di fare l'eterna comparsa in Parlamento. Chiamato a «salvare la patria», nominato in fretta e furia senatore a vita, piazzato a forza a palazzo Chigi per imporci i «compiti a casa» dettati dalla signora Merkel, Monti rischia ora di fare il figurante di lusso. Visto il laticlavio a vita, il Professore percepirà dai 9 ai 13mila euro al mese per sempre. Un investimento, quello su Monti, non proprio azzeccato. Doveva rivoltare il Paese come un calzino e fare le riforme strutturali ma ha fallito. Doveva dare vita a un grande centro o un grande centrodestra ma è stato cacciato dai suoi stessi amici. Vagherà, quindi, nel gruppo misto assieme agli altri «fantasmi» di fresca nomina presidenziale. Fine ingloriosa per uno ambizioso come lui.
E dire che glielo aveva sconsigliato persino Napolitano di «salire» in politica. Monti sordo. «Fondo un partito». Primo schiaffo: meno di tre milioni di voti sia alla Camera sia al Senato; neppure il 10%. Ma non s'è mica fermato lì, nonostante il flop delle urne. Conquistato dal Palazzo, Monti ha bramato poltrone su poltrone. «Punta al Colle», giura chi gli vuole male. Sarà. Quel che è certo che ha puntato dritto come un fuso, se non alla prima carica dello Stato, alla seconda. Quando ancora era premier, il Professore si è autocandidato presidente del Senato. «Ma solo se c'è un governo di larghe intese e se duro tutta la legislatura», le sue condizioni. Sogno infranto non tanto per la freddezza di Pd e Pdl quanto per il secco «no» arrivato da Napolitano. E il Prof non ha potuto far altro che mangiar catene e dire «obbedisco».
I sogni di gloria sono continuati nonostante lo abbandonassero pezzi grossi del suo governo: dalla Severino («Non lo seguo») alla Fornero («Mi piace l'agenda Monti, non la lista civica»), passando per Terzi, ministro degli Esteri dimissionato con cui ha dato vita a uno straordinario battibecco sulla questione dei marò. Una rissa: «Il vero obiettivo di Terzi è un altro», ha graffiato Monti facendo intendere che le dimissioni del suo ministro fossero legate ad ambizioni politiche. «Respingo le accuse al mittente», ha risposto un Terzi nero.
Politica. Fatta di sangue e merda. Il Professore, ogni tanto, ha dato segnali di voler starne lontano: «Leader di partito? Non fa per me, non è il mestiere». E ancora, svelando tutta la sua superbia: «I partiti mi trattano male: prima mi chiamano in loro soccorso e ora sembro essere diventato il loro capro espiatorio». E che dire degli alleati centristi: «Mi hanno implorato di fare il capo della coalizione e adesso dicono che hanno donato il sangue per me». Quindi lascia? No, raddoppia.
Si è messo alla testa di Scelta Civica, guazzabuglio centrista dove convivono anime diversissime e volano i coltelli. Perciò bisognerebbe mediare, smussare, conciliare e non guardare dall'alto in basso le «cose di partito». «Non ha mai filato nemmeno un sondaggio», confida uno dei suoi. In questi mesi, politicamente, ha latitato e ha fatto parlare di sé più per la partecipazione ai funerali della Thatcher, in aprile e per la presenza al summit Bilderberg assieme alla Gruber, in giugno.
Il partito, intanto, gli è esploso in mano. Già in agosto l'ala cattolica gli si è rivoltata contro e il Professore è arrivato a un passo dallo sbattere la porta. «Sono disgustato e amareggiato dalla mancanza di fiducia in me», ha detto prima di prendere la porta. In quell'occasione è stato fermato da Mario Mauro, versione pompiere. Quel Mauro che, solo due mesi dopo, ha appiccato l'incendio a Scelta civica e bruciato definitivamente Monti.

È la politica, Professore.

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