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Monti si regala l'aiutino: ecco la legge ad personam che evita la raccolta firme

Per SuperMario altri incontri informali, i suoi al lavoro sulla lista. Nel decreto un codicillo per agevolare la nuova sigla centrista

Monti si regala l'aiutino: ecco la legge ad personam che evita la raccolta firme

Roma - Fatta la legge, trovato l'inganno. Fatta la scelta, ecco la norma ad personam, anzi «ad listam Montium». Aiutino del governo ai centristi di terra, di mare e (soprattutto) di Monti che per presentarsi alle elezioni in sostegno al Prof potrebbero non aver bisogno di raccogliere neppure una firma. Vantaggio non da poco, considerato il freddo che fa e la scarsa organizzazione dei suddetti.
Il codicillo che mette in subbuglio il mondo politico a pochi giorni dalla decisione del premier è contenuto alla lettera «C» dell'articolo unico del decreto «tagliafirme», varato l'altroieri dal Consiglio dei ministri e già stamane all'esame della Commissione per la conversione in legge (nel pomeriggio potrebbe arrivare, in corsia preferenziale, addirittura all'Aula). Si tratta della riduzione delle firme da raccogliere per la presentazione delle liste, considerati i tempi strettissimi tra lo scioglimento anticipato della legislatura e la data delle elezioni. Il decreto riduce della metà le firme necessarie per chi non è presente in Parlamento (Grillo e Sel, per esempio), del 60 per cento per chi ha un gruppo «almeno in una Camera» (Fli e altri minori), ed esonera del tutto le forze presenti in entrambe le Camere (Pdl, Pd, Idv e Lega). La sorpresa è che saranno esonerati non solo le liste che, collegate a queste ultime, abbiano anche un europarlamentare, ma addirittura «le componenti politiche all'interno dei gruppi parlamentari, costituite all'inizio della legislatura in corso».
«Che vuol dire componenti politiche? Le uniche riconosciute dai regolamenti delle Camere sono quelle del gruppo misto...», svela l'inganno il relatore del Pdl, Peppino Calderisi. È una norma che favorisce i «montiani» nascosti nel Pdl o in qualsiasi altro gruppo, insorge l'altro relatore, il piddino Giandomenico Bressa. Finiti i tempi di «non sparate sul pianista», nel saloon di Montecitorio è tutto un vociferare contro i tecnicismi dei tecnici ormai travestiti da politici (o il contrario). L'allarme si diffonde in un attimo, tanto che dall'altro ramo della casbah, Palazzo Madama, il leghista Calderoli arriva persino a minacciare «una richiesta di messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica per attentato alla Costituzione per aver firmato il decreto». Il verde Bonelli parla di «furto di democrazia», i vendoliani s'indignano per lo smaccato trattamento di favore «ai centristi amici di Monti».
Il punto andrà chiarito al più presto, chiede Calderisi, prima che accada come nel 2008 quando un esonero di portata molto minore finì poi giudicato dalle singole Corti d'appello, con decisioni non univoche tra loro. In ogni caso, non si tratta di una bella presentazione per i vagheggiatori della Terza Repubblica, che già nascerà da una crisi di governo extraparlamentare, proprio come accadeva nella Prima (talvolta anche nella Seconda, ma in alcune circostanze molto particolari).
Il premier, intanto, nel suo ufficio di Palazzo Chigi, continua a prendere appunti, attorniato dai consiglieri del ristrettissimo staff, che pare gli abbiano anche presentato progetti di loghi per la lista personale, dove comparirebbe un riferimento all'Italia. In mattinata ha fatto una visita in clinica a Pannella, ricavandone spunti per «approfondire il tema carceri». In serata ha convocato i ministri Severino (Giustizia), Grilli (Economia) e Di Paola (Difesa). Chi è riuscito a parlargli lo descrive per nulla scosso dall'uno-due di freddezza recapitatogli da Napolitano e Bersani e deciso ad andare fino in fondo per se stesso, per l'Italia e per l'Europa. I centristi scalpitano, il Prof si scruta nello specchio come il più bello del Reame.

Riflette.

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