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È morto il senatore a vita Giulio Andreotti

Tra i protagonisti indiscussi della vita politica italiana della seconda metà del XX secolo, è stato tra gli uomini più importanti della Dc. Presidente del Consiglio per 7 volte, senatore a vita, ha ricoperto numerosi incarichi di governo. Si è spento nella sua abitazione a 94 anni. Lascia un archivio immenso: 3.500 faldoni

È morto il senatore a vita Giulio Andreotti

Il senatore a vita Giulio Andreotti si è spento a 94 anni nella sua abitazione romana. I funerali si terranno domani pomeriggio alle 14, nella chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, a Roma, la chiesa a due passi dalla casa del senatore. Le esequie saranno in forma privata. Sette volte presidente del Consiglio, democristiano, è stato un protagonista indiscusso della politica italiana per gran parte del XX secolo. Laureatosi in Giurisprudenza nel 1941, iniziò la sua carriera politica alla fine della Seconda guerra mondiale, al seguito di Alcide De Gasperi. Eletto all'Assemblea costituente nel 1946, era poi entrato in Parlamento nel 1948. Fu sempre rieletto alla Camera fino al 1991, quando Francesco Cossiga lo nominò senatore a vita.

Tra i leader più votati della Democrazia cristiana, abilissimo nel muoversi tra le numerosi correnti della "Balena bianca", per i suoi detrattori era solo un politico cinico e machiavellico. Giudizi sprezzanti che lui stesso amava coltivare. Celebri alcune sue frasi, in particolare: "Il potere logora chi non ce l'ha" e "a pensare male si fa peccato ma di solito ci si indovina". Si dice che fu il Papa in persona, Pio XII, a volerlo alla presidenza della Fuci, l’organizzazione degli universitari cattolici, al posto di Aldo Moro. Dopo pochi anni si ritrovò catapultato nelle prime file della politica, accanto a De Gasperi. Nel 1946, a soli 28 anni, era già sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel 1954 diventò ministro (dell'Interno, nel governo Fanfani, poi alle Finanze).

Politicamente rappresentava l’ala più conservatrice e clericale della Dc, i suoi avversari interni erano i fautori del centrosinistra, come Moro e Fanfani. Ottimi i suoi rapporti e i suoi contatti con il Vaticano, vastissima la sua rete di contatti internazionali. Nel 1972 riuscì ad arrivare alla presidenza del Consiglio. Lo scelsero con scarsa convinzione, per dar vita a un governo di centro dalle scarse prospettive. E fu il governo più breve della storia repubblicana: solo 9 giorni, dalla fiducia alle dimissioni. Ma non si scoraggiò e, in seguito, arrivò a guidare per sette volte il governo. Uno addirittura con l'appoggio esterno del Pci. Fu il governo della "non sfiducia" (1976), chiamato così perché si reggeva grazie all'astensione dei partiti dell'arco costituzionale (tutti tranne il Movimento sociale italiano).

Bettino Craxi non lo vedeva di buon occhio (fui lui a coniare il soprannome di Belzebù), ma tra la fine degli anni Ottanta e i primi del Novanta, Andreotti strinse un patto di ferro proprio con il leader socialista: erano gli anni del "Caf" (dalle iniziali di Craxi, Andreotti e Forlani) e il Pci lo considerava come il peggio del peggio della politica italiana. Nel 1992 ce la mise tutta, senza però riuscirvi, a farsi eleggere Presidente della Repubblica.

Nel 2008 il regista Paolo Sorrentino gli dedicò un film, "Il Divo", che senza troppi giri di parole lo descriveva come responsabile di mille nefandezze. Pare che Andreotti volesse Andreotti querelare il cineasta, poi lasciò correre. Forse perché (altra sua battuta fulminante diventata famosa), "una smentita è una notizia data due volte...".

L'enorme archivio cartaceo di Andreotti (3.500 faldoni, dal 1944 in poi) che, negli ultimi anni della sua carriera parlamentare, aveva sede nel suo ufficio di piazza in Lucina, è stato acquisito dalla Fondazione Sturzo.

Il processo per mafia

Il 2 maggio 2003 è stato giudicato dalla Corte d’Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto in primo grado, il 23 ottobre 1999, fu condannato con sentenza d’Appello. Nell’ultimo grado di giudizio, la II Sezione penale della Corte di Cassazione ha citato il concetto di "concreta collaborazione" con esponenti di spicco di
Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, presente nel Dispositivo di Appello. Il reato commesso è stato considerato estinto per sopravvenuta prescrizione e quindi si è dichiarato il "non doversi procedere" nei confronti di Andreotti.

Il processo per l'omicidio Pecorelli

Andreotti è stato processato anche per il coinvolgimento nell'omicidio di Mino Pecorelli, avvenuto il m20 marzo 1979. Secondo l'accusa fu il politico a commissionare l'assassinio del direttore di OP (Osservatorio Politico), giornale che aveva pubblicato notizie a lui ostili. Nel 1999 in primo grado la corte di assise di Perugia lo prosciolse. Il 17 novembre 2002 la Corte di appello ribaltò la sentenza di primo grado condannò Andreotti (insieme a Gaetano Badalamenti) a 24 anni di carcere come mandante dell'omicidio.

Il 30 ottobre 2003 la sentenza d'appello fu annullata senza rinvio dalla Cassazione, annullamento che rese definitiva l'assoluzione di primo grado.

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