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Mose, doccia fredda per Orsoni Il Gup rifiuta il patteggiamento

Era nell'aria. Il gip boccia il patteggiamento dell'ormai ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni. Tutto da rifare e, in prospettiva, un capitolo delicato che dev'essere approfondito: quello delle tangenti rosse. Orsoni aveva raggiunto l'accordo con la procura di Venezia per una pena di 4 mesi. Ora il giudice Massimo Vicinanza straccia quella bozza. «La pena è incongrua rispetto alla gravità dei fatti», scrive senza tanti giri di parole Vicinanza che fa a pezzi l'intesa rapidamente raggiunta nei giorni scorsi fra il pool guidato da Carlo Nordio e l'avvocato Daniele Grasso. Il patteggiamento esce dai radar della difesa e Orsoni si prepara al processo in cui dovrà rispondere di finanziamento illecito: i soldi sottobanco, centinaia di migliaia di euro, girati nel 2010 all'allora candidato sindaco dall'onnipotente e onnipresente presidente del consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati.
Orsoni, travolto dalla Tangentopoli del Mose, era finito ai domiciliari. Ma dopo una detenzione lampo nel giro di una mattina aveva recuperato la libertà, era tornato, pure accolto da un applauso, in municipio, aveva addirittura trovato il punto d'incontro con l'accusa per una pena soft, quasi impalpabile, 4 mesi più 15mila euro di multa. Una giravolta clamorosa e inusuale che aveva addirittura convinto Orsoni a tentare l'impossibile: rimanere sulla poltrona di primo cittadino senza ascoltare gli imbarazzatissimi appelli che provenivano dalla casa madre del Pd, il partito che l'aveva lanciato e l'aveva portato a vincere la sfida con Renato Brunetta pur senza amarlo particolarmente. Orsoni, scaricato a razzo dal Pd, aveva dunque provato a resistere, poi Renzi aveva fatto pressioni spingendolo giù dalla poltrona. E Orsoni gli aveva prontamente reso la pariglia, raccontando in più di un'intervista di essere rimasto «deluso» dal premier.
In realtà tutti avevano fatto i conti senza l'oste: il giudice di fatto manda Orsoni nell'arena del dibattimento. E lui pare quasi rallegrarsene, innescando una nuova polemica, questa volta con la procura: «Ora posso finalmente difendermi. L'esito dell'udienza odierna era prevedibile in relazione all'entità delle accuse rivolte, al clamore che ne era seguito anche in relazione allo sproporzionato uso della misura cautelare». Le manette sarebbero state, dunque, una forzatura. Di più, Orsoni attacca su tutta la linea e proclama la propria innocenza: «La scelta di accettare il patteggiamento proposto dalla procura era stata dettata dalla necessità di tutelare l'Amministrazione, ben consapevole della assoluta infondatezza dei fatti addebitati e dell'insussistenza della fattispecie di reato ipotizzato». Parole che provocano irritazione in procura dove, naturalmente, la lettura dei fatti viene capovolta. Il patteggiamento, tanto per cominciare, sarebbe nato a casa Orsoni. In ogni caso il giudice sottolinea la «gravità dei fatti» e dunque cancella il patteggiamento perché l'ex sindaco se la sarebbe cavata a buon mercato. Troppo facilmente. Con una pena troppo bassa. E invece gli toccherà navigare nel mare aperto del processo. Un dibattimento in cui Orsoni sarà bersagliato dalle domande e dovrà spiegare il sistema delle tangenti rosse, delineato in modo generico nei suoi verbali. L'ex primo cittadino ha chiamato in causa tre big della nomenklatura veneta del partito: l'ex segretario provinciale del Pd veneziano Michele Mognato, oggi deputato; l'ex presidente della provincia di Venezia Davide Zoggia, volto televisivo del Pd e pezzo grosso dell'apparato bersaniano; Giampietro Marchese, consigliere regionale, ritenuto a torto o a ragione una sorta di Primo Greganti in formato regionale. Marchese è stato a sua volta arrestato, gli altri due non hanno ricevuto nemmeno un avviso di garanzia e almeno per ora la Tangentopoli del Pd veneto è rimasta lì dov'era: un titolo o poco più. Forse il filone troverà nuova linfa nelle prossime settimane, chiusa la tornata delle udienze davanti al tribunale del Riesame. Certo l'aula del tribunale è un'occasione ghiotta per approfondire un tema così infiammato.
Ma tutto andrà alle calende greche: la verità è che all'orizzonte incombe la prescrizione.

Questa storia, c'è da scommetterci, finirà all'italiana: tanto clamore per nulla.

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