Politica

La mossa finale di Renzi: mano tesa al segretario

Tutto sorrisi e metafore calcistiche, il sindaco di Firenze conquista il pubblico e promette all'avversario: "Se perdo, non griderò ai brogli"

Milano - Bersani? Venga a prendere un caffè da me. O, meglio, con me. Matteo Renzi tende la mano dal palco, dal palco del centro sociale Barrio's, quartiere Barona, Milano, al segretario piddino, che, a qualche isolato di distanza, stesso giorno stessa ora, sta parlando ai suoi aficionados, nell'ultima galoppata comiziale prima del ballottaggio dell'indomani.

Qui, alla Barona «open air», sulla carta (del programma) dovrebbe trattarsi di un'intervista pubblica di Gad Lerner al candidato dell'«altra sinistra». E Lerner con il microfono accanto a lui c'è, certo. Accenna di tanto in tanto anche qualche domanda, certo. Ma sul palco, stretto da una folla, che alita entusiasmo ed applausi, in realtà c'è un uomo solo al comando: lui. Il «rottamatore», tutto jeans e giubbottino leggero, nonostante il clima non proprio mite. Che, lui sì abilmente e strategicamente mite, regala un one-man show.
Non parla da vincitore, ma gigioneggia simpaticamente e fa capire apertamente che gli piacerebbe, eccome, vincere. Se non altro lo promette, accompagnando il tutto da accenno di classico gesto scaramantico, per «essere ospite di Lerner lunedì all'Infedele». Amato e disinvolto, e profondamente conscio di questo suo plusvalore, il super Matteo passeggia e ripasseggia sopra i lunghi cavi del microfono, più a suo agio di molti presentatori che si sono succeduti all'Ariston e nel personalissimo festival delle battute e delle metafore calcistiche insiste: «Con te allenatore, Bersani, giochiamo sempre con lo stesso schema, a catenaccio. Abbiamo sempre in campo le vecchie glorie. Considera però che anche Inzaghi che faceva sempre gol lo hanno mandato a fare l'allenatore ed è scoppiato El Shaarawy». Poi guardando negli occhi donne, giovani e persino bambini, sottolinea compiaciuto come queste primarie, almeno, bene inteso, le «sue» primarie, hanno ottenuto «il risultato di riavvicinare alla politica sia i genitori delusi e sconfortati sia i giovani. Che ritrovando verve e dinamite propositiva, si sono rimessi a volantinare, a parlare a riunirsi. Perché noi i siamo in campo per un cambiamento fondamentale, non per delle modificucce». Applausi, ovviamente.

Poi altre nuvolette che escono dal calumet della (presunta) pace: «Sono arrivato al punto di dire facciamo un appello condiviso pur di non litigare, se qualcuno non ha voglia di raccogliere l'appello se ne assumerà la responsabilità. Sarà chi vince le primarie ad evitare che gli altri se ne vadano. Se dovesse vincere Bersani e a febbraio venisse a chiedermi di dargli una mano per la corsa al premierato io gli direi: sì ti aiuto ma a una condizione, non voglio nulla in cambio».

E la famosa cena con i finanzieri? «La rifarei - ha ammesso - ma mediaticamente è stato un autogol. Le nostre proposte sono serie mentre con riforme come quella di Berlinguer è stata umiliata una generazione di persone». Poi un avviso ai naviganti un po' nervosi: «Se vince Bersani non griderò ai brogli. Direi che la discussione è degenerata nelle ultime quarantotto ore a causa di un ricorso secondo me sbagliato (quello fatto contro di lui dai Garanti per gli annunci a pagamento pubblicati su alcuni quotidiani, ndr) da cui è partita un'escalation di polemiche sulle regole. Ora sarebbe opportuno che tutti tirassero via un po' il piede dall'acceleratore e si tornasse a discutere sui contenuti».
Ma lui, dopo il bagno di folla, dopo gli autografi, dopo tante, troppe foto: «Please last picture now», rimonta sul camper e il piede sull'acceleratore lo rimette. Pace o no.

Via, verso nuove avventure: è in ballo il ballottaggio, che diamine.

 

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