Cronache

Movente e sviste sul Dna. Le armi di Bossetti per tornare in libertà

Domani i difensori del muratore ricorreranno al Riesame. Forti di qualche incertezza nei test e un pasticcio sui capelli

Movente e sviste sul Dna. Le armi di Bossetti per tornare in libertà

L'inchiesta partita male, dipanatasi peggio e all'improvviso «risorta e risolta» con una coup de théâtre, non è finita. L'assassino di Yara, l'abominevole «Ignoto 1» cercato e braccato al buio per tre anni e mezzo, tutto sommato resta un avatar. C'è un Dna, adesso finalmente con un nome e cognome, peccato manchi tutto il resto. Movente, arma del delitto, uno straccio di confessione. Magari fosse anche solo parziale. Nemmeno l'ombra di un testimone. Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni da compiere ad ottobre, muratore tutto casa, chiesa e lavoro non cede. Si proclama innocente, lo giura e forse spergiura, come la madre Ester capace di negare le prove provate, di continuare a sostenere che no, lei mai tradì il marito e che quel figlio e la gemella sono frutto dell'amore coniugale. Certo è che qualcuno, Bossetti, lo ha già convinto. La moglie, Marta Comi, uscita - dopo silenzi e amnesie dei primi giorni - dall'incontro concessole dietro le sbarre con la convinzione di non aver vissuto accanto a un orco; poi gli avvocati, i primi, almeno formalmente, persuasi di non trovarsi di fronte a un cliente assassino. «Siamo convinti della sua innocenza«, ripetono. Strategie sottili, mosse procedurali ma anche psicologiche, e chissà, forse davvero anche un asso nella manica. Fatto sta che ormai all'ultimo momento utile, hanno deciso di chiedere la scarcerazione del loro assistito. Domani, presenteranno l'istanza al tribunale del Riesame. La partita, vera, comincia adesso. Basta una traccia genetica a tenere in gattabuia un uomo, sui pure killer presunto? Il muratore illampadato e dagli occhi di ghiaccio, assicura di poter spiegare il perché della traccia del suo Dna sui leggins della vittima.

Contemporaneamente si sollevano dubbi e perplessità su come siano stati effettuati test e comparazioni. Sembra che addirittura per un anno, in uno dei quattro laboratori incaricati degli esami, si siano confrontati campioni sbagliati. Tra questi c'era anche quello della madre di Bossetti, confrontato - si mormora tra gli investigatori stessi - con il Dna di Yara anziché con quello di «Ignoto 1». Non l'unica ombra in quest'indagine che passerà alla storia come la più costosa. Così, mentre il ministro Alfano ha spiazzato la platea svelando una notizia che avrebbe dovuto rimanere segreta, i detective si ritrovano impantanati nel cercare conferme al loro teorema. Seguendo strade che si intersecano e talvolta si contraddicono. Polizia e carabinieri parlano due lingue diverse. Per qualcuno caso chiuso, l'assassino sarebbe Bossetti «al mille per mille»; per altri resta da stabilire se l'omicida «abbia agito da solo». Non bastasse irrompono sulla scena pure i super esperti. Quei genetisti grazie ai quali si è ricostruita la dinastia dell'ormai «ex ignoto». «Sì, abbiamo analizzato dei peli capelli», lasciano intendere. Salvo poi smentire. Dunque? Fabio Buzzi, responsabile dell'unità operativa di medicina legale e scienze forensi dell'Università di Pavia, in qualche modo conferma: «Abbiamo trovato dei reperti che collimano con il Dna che ci è stato fornito, che è quello di “Ignoto 1”. Noi classifichiamo il Dna, non le persone - ha aggiunto -. In laboratorio non abbiamo il nome di questo signore. Abbiamo fornito elementi perché gli inquirenti lo identificassero». Eppure la quadratura del cerchio investigativo non convince. Non del tutto. A cominciare dalle dichiarazioni degli stessi protagonisti. Bossetti conosceva il padre di Yara? Persino questo sembra un mistero. L'ennesimo.

Davvero troppi.

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