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Muore don Gallo, il prete rosso Scambiò la Chiesa per una piazza

Dai cortei con i centri sociali alle crociate antiproibizioniste, se ne va il cappellano dell'ultrasinistra amato anche dai salotti radical chic

Muore don Gallo, il prete rosso Scambiò la Chiesa per una piazza

Cercando in archivio fotografie di don Gallo, ce ne sono centinaia in cui saluta pubblici con il pugno chiuso, sventola bandiere rosse, guida manifestazioni di centri sociali, fa il capopolo di popoli della Fiom, incorona politici di tutti i partiti. Purché, ovviamente, quei partiti siano di sinistra, meglio se con falci e martelli assortiti nel simbolo.
E non è un caso se, appena si è diffusa la notizia della morte di don Andrea, le agenzie di stampa sono state invase da decine e decine di dichiarazioni di politici di sinistra, di tutte le sinistre, dalla Cgil a Giuliano Pisapia, da Antonio Di Pietro a Claudio Burlando, dai Verdi agli esponenti della sinistra antagonista dura e pura, dalle associazioni gay al mondo degli artisti alternativi, da Nichi Vendola all'alto dei cieli del mondo antiproibizionista sulle droghe. Quasi tutti anticlericali, moltissimi atei, nessuno in prima linea nella difesa dei «valori non negoziabili». Unica eccezione l'ex governatore della Liguria Sandro Biasotti, unico parlamentare del Pdl ligure. Che però lo ricorda come suo insegnante dai salesiani a Varazze, non per una qualche predicazione politica.
Ed è quasi surreale che la prima reazione alla morte di don Andrea dove si parla di questioni in qualche modo teologiche, citando don Gallo come «ricchezza della Chiesa», sia quella dell'alleanatore del Genoa Davide Ballardini. Che era amico di don Andrea, al punto da essere stato l'ultimo a incontrarlo pubblicamente, vedendosi dedicare un tweet sull'attivissimo profilo del sacerdote. Ma, per l'appunto, Ballardini non è propriamente un teologo. Per il resto, dal mondo della Chiesa, a fronte di centinaia e centinaia di politici, solo due reazioni, di quelle che ti aspetti: don Vinicio Albanesi e don Luigi Ciotti, quel mondo lì.
Allo stesso modo, sempre cercando in archivio, è stato difficilissimo trovare fotografie di don Andrea nei panni di sacerdote tradizionale. Tantissimi pugni chiusi, pochi segni della croce. Addirittura, le celebrazioni nella sua parrocchia della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, che si concludevano con un Bella ciao che sostituiva il «Ite missa est». Oppure, la messa in suffragio di Ugo Chavez, dipinto come un benefattore dell'umanità, che non è propriamente la posizione di Papa Francesco.
Insomma, una specie di cappellano della sinistra più dura e pura. Celebrato dalle immagini sui palchi del G8 genovese e post G8 in compagnia degli immancabili sigaro-Manu Chao-pugno chiuso, quasi un pantheon ulteriore, una seconda trinità laica, della particolarissima religione di don Gallo. Che pure è sempre stato attentissimo anche a coltivare buoni rapporti con le gerarchie, a tirare la corda moltissimo, ma anche a non spezzarla. Con una simpatia personale e un'umanità di fondo che gli riconoscevano anche i critici più severi. E che, in qualche modo, lo rendeva molto più pericoloso, senza quella carica urtante, ad esempio, dell'altro prete rosso genovese, don Paolo Farinella.
Tanto per dire, anche grazie all'attività della sua comunità di recupero, don Andrea è sempre andato d'accordo con i cardinaloni che si sono succeduti a Genova. E se con Dionigi Tettamanzi gli veniva anche abbastanza naturale, con Tarcisio Bertone - che nell'iconografia tradizionale del parlamentino ecclesiastico sarebbe stato seduto dall'altra parte degli scranni - i rapporti erano addirittura idilliaci. Salesiani entrambi, qualcosa di più forte della politica. E anche uno strenuo difensore dei valori non negoziabili come Angelo Bagnasco l'ha sempre difeso. Anche se, ad esempio sulle coppie di fatto, dicevano esattamente il contrario.
Perché lì sta la chiave di don Gallo. «Prete degli ultimi», ma anche contemporaneamente prete amico di alcuni potenti, amatissimo dalla Genova borghese e ricca che è la base sociale della città: cuore a sinistra e portafoglio a destra. È l'immagine dell'inaugurazione di Eataly al Porto Antico che lo immortalava insieme a Oscar Farinetti, Claudio Burlando e Gino Paoli che - calice di rosso (ça va sans dire) alla mano - cantavano la solita Bella ciao con il solito pugno chiuso.
Il prete comunista più comunista di tutti - con l'antifascismo e l'antiberlusconismo come fari, con continue dichiarazioni in questo senso, molte pure sgradevoli - in politica era un democristianone doc. Nel modo di fare politica, intendo. Di sinistra estrema, ma comunque, attentissimo a non scontentare le altre sinistre. Basti pensare, ad esempio, al fatto che per la chiusura dell'ultima campagna elettorale se lo sono contesi Sel (che è il suo partito di riferimento, con una solidissima amicizia con Nichi Vendola), il Pd, ma anche il MoVimento Cinque Stelle, nei confronti del quale era stato identificato dalla sinistra tradizionale come uno dei mediatori nella trattativa per arrivare al possibile «governo di cambiamento».
Ma per quello, probabilmente, ci sarebbe voluto un miracolo per cui don Gallo non era attrezzato.

Roba da mano celeste, non da Manu Chao.

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