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Napolitano esce allo scoperto e confessa: «Convocai Monti»

Ma il presidente della Repubblica rivendica la legittimità del suo operato: "Parlare di golpe è fumo. Il premier si dimise dopo un voto contrario alla Camera". Che non c'è stato

Napolitano esce allo scoperto e confessa: «Convocai Monti»

Ebbene sì, è vero, l'ho visto: e allora? L'ho «incontrato più volte», l'ho consultato, l'ho ascoltato, l'ho pure ricevuto al Quirinale, «e non solo nell'estate del 2012». E quindi? Dov'è lo scandalo, si difende Giorgio Napolitano, dove sarebbe «il complotto»? Perché contattare Mario Monti ben prima della crisi del governo Berlusconi, sostiene il capo dello Stato, faceva parte delle «normali attività» istituzionali. Perciò parlare adesso di intrighi, congiure, golpe «è fumo, soltanto fumo».
Dunque niente smentite. Anzi il presidente scrive al Corriere della Sera e conferma tutti «i fatti». Addirittura rilancia. «Nessuna difficoltà a ricordare di aver ricevuto nel mio studio il professor Monti più volte nel corso del 2011, e non soltanto in estate». Del resto, spiega, «lo conoscevo da molti anni, già prima che nell'autunno 1994 egli fosse nominato Commissario europeo su designazione del governo Berlusconi». Economista, europeista, «punto di riferimento per le sue analisi e i suoi commenti di politica finanziaria». Che c'è di male, afferma Napolitano, a consultarlo? Di più. Nel corso del «difficile» 2011 «egli appariva allora – certo non solo a me – una risorsa da tener presente e, se necessario, da acquisire al governo del Paese». E qui bisogna fare attenzione al tempo usato dal presidente: «appariva». Forse ora non appare più una «risorsa», dopo il flop a Palazzo Chigi, dopo l'ostinazione con cui ha voluto presentarsi alle elezioni nonostante il consiglio contrario di Napolitano e a maggior ragione dopo quest'ultima rivelazione. C'è un po' di rabbia nel presidente, che con i suoi si sfoga per la «mancanza di sensibilità politica e istituzionale» dell'ex premier, uno che spiattella a Prodi e De Benedetti i suoi contatti con il Colle.
Ma all'epoca l'immagine del Professore non si era ancora sfilacciata nelle beghe di Scelta civica. Dunque il capo dello Stato l'ha sentito. Tramava per far fuori il Cav? Macché, si tratta di banale attività quirinalizia. Per dimostrarlo, Napolitano cita la sentenza della Consulta del 2013, quando si espresse sulle intercettazioni disposte dalla procura di Palermo. «Il presidente della Repubblica - si legge - deve poter contare sulla riservatezza assoluta» delle sue attività formali ed egualmente di quelle informali, si tratti di «contatti», di «colloqui con le forze politiche» o anche «con altri soggetti, esponenti della società civile e delle istituzioni».
Quindi, nessun complotto. Napolitano sfotte Alan Friedaman, «brillante pubblicista» che pretende di «riscrivere la storia recente del nostro Paese». Ma «i veri fatti, i soli della storia reale del 2011, sono noti e incontrovertibili» e si «riassumono in un sempre più evidente logoramento della maggioranza di governo uscita vincente dalle elezioni del 2008». Re Giorgio ricorda «la rottura tra il Pdl e il suo cofondatore, già leader di An, il successivo distacco di numerosi parlamentari, il manifestarsi di dissensi e tensioni tra il presidente del Consiglio, il ministro dell'Economia ed altri ministri, le dure sollecitazioni critiche delle autorità europee verso il governo Berlusconi che culminarono dell'agosto 2011 nella lettera dal presidente della Bce Trichet e dal governatore Draghi». Poi - attenzione al particolare - l'8 novembre «la Camera respinse il rendiconto generale dello Stato e la sera stessa il presidente del Consiglio al Quirinale convenne sulla necessità di rassegnare il mandato una volta approvata la legge di stabilità». Ma in realtà non fu così: ieri sera a Piazza Pulita su La7 Corrado Formigli ha ricordato che il rendiconto fu approvato, seppur con una maggioranza relativa. Solo una dimenticanza del Colle? Napolitano conclude: «Nelle consultazioni riscontrai una larga convergenza sul conferimento a Monti – da me già nominato, senza alcuna obiezione, senatore a vita – dell'incarico di formare il nuovo governo».

Tutto il resto è «fumo» e non bastano le «confidenze di De Benedetti e Prodi» a rifare la storia.

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