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Napolitano fa scudo a Bruti. Un giudice: è in debito con lui

Il plenum del Csm rinvia il caso Milano dopo la lettera del capo dello Stato. E ora rischia Robledo

Napolitano fa scudo a Bruti. Un giudice: è in debito con lui

I l capo di una procura può fare quel che vuole, ha fatto sapere Giorgio Napolitano al Csm, alla vigilia della decisione sullo scontro in procura di Milano, dopo l'esposto dell'aggiunto Alfredo Robledo. Sembrava segnata la sorte del procuratore Edmondo Bruti Liberati, a rischio di trasferimento, processo disciplinare e mancata riconferma a luglio. Ma improvvisamente, il quadro è stato ribaltato: ieri il Csm ha dibattuto per ore ma non ha deciso (lo farà oggi), ed è Robledo ad apparire ora ad alto rischio.

Dopo l'inusuale lettera del capo dello Stato e presidente dell'organo di autogoverno delle toghe al numero due di Palazzo de' Marescialli, Michele Vietti, i relatori delle commissioni competenti si sono affrettati a correggere le proposte che hanno portato in plenum, ammorbidendone molto giudizi e richieste: niente più critiche pesanti a Bruti e neppure l'invio degli atti ai titolari dell'indagine disciplinare, per la Prima commissione (trasferimenti); solo piccole bacchettate dalla Settima, che chiama in causa ministro Guardasigilli e Pg della Cassazione più per l'aggiunto che per il suo capo. Insomma, la missiva del Colle probabilmente salverà il procuratore. Ma perché il presidente della Repubblica ha deciso di entrare a gamba tesa in un caso così delicato? Per difendere, è stato spiegato, il principio della gerarchizzazione delle procure, introdotta dalla riforma dell'ordinamento giudiziario Castelli-Mastella del 2006. Principio caro al centrodestra, e fortemente osteggiato dalle toghe di tutte le correnti. Ma ora, l'ex-Pci Napolitano lo sostiene decisamente e chiede di fatto al Csm di salvare in suo nome Bruti, uno dei leader storici della corrente di sinistra Md. È davvero il principio che il Colle difende o la persona? Il verticismo dell'ufficio dei pm sarebbe stato usato come scudo anche per capi di procura diversi, mettiamo un Antonio Laudati ex procuratore di Bari, assolto pochi giorni fa dal Csm dall' accusa di essere «persecutore di Tarantini (quello delle escort a Palazzo Grazioli) e amico di Vendola», ma ancora sotto processo a Lecce come «uomo di Alfano, mandato alla Procura di Bari per salvare Tarantini e quindi Berlusconi», come ha ironizzato il suo difensore al Csm Piercamillo Davigo?

C'è chi avanza il sospetto che il Pd-Ds debba molto a Bruti e non possa adesso scaricarlo. Dicono che il magistrato Clementina Forleo, ne sia convinta. E si riferisce alla gestione dell'inchiesta sulla tentata scalata di Unipol a Bnl, nell'estate del 2005. Lei se ne occupò come gip a Milano e voleva portare sul banco degli imputati pezzi grossi di sinistra come l'allora segretario dei Ds Piero Fassino, l'ex- ministro degli Esteri Massimo D'Alema e il senatore Nicola Latorre. Ora parla di un debito da pagare, da parte di Napolitano, verso chi secondo lei li salvò, ostacolando la sua richiesta del 2007 al Senato di utilizzare come prove le intercettazioni che coinvolgevano i parlamentari Ds. Ricorda anche che gli interessati sarebbero stati informati che potevano tranquillamente parlare a telefono del tentativo di scalata bancaria e poi avvertiti che invece erano stati intercettati il 14 luglio, quando avvenne l'ormai famosa conversazione di Fassino con l'allora presidente di Unipol Giovanni Consorte: «Allora, abbiamo una banca?». La Forleo, finita sotto processo disciplinare e poi assolta nel 2008, trasferita da Milano dal Csm e tornata nel 2012, dopo aver vinto una battaglia al Tar e al Consiglio di Stato, ricostruisce quei giorni. Per lei, sarebbe stato proprio Bruti, a capo del pool per i reati societari, a tenere nei cassetti della procura le carte del Senato destinate a lei, da maggio a luglio 2008. Quelle carte finirono ad un altro gip di turno. Non a lei. I Ds si salvarono e lei, per la richiesta al Senato, finì nei guai: toni troppo accesi quando scrisse che i politici facevano parte di «un disegno criminoso». Napolitano proprio allora richiamò i giudici ad essere «più sobri».

E Bruti, criticò la sentenza del Tar che dava ragione alla Forleo.

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