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Napolitano non vuole Bersani a Palazzo Chigi

Il Pd punta al governo ma l'ennesimo ostacolo è il Quirinale, che invece lavora nell'ombra a un Monti bis

Napolitano non vuole Bersani a Palazzo Chigi

Roma Nessuno, nello stato maggiore del Pd, potrebbe permettersi di dirlo in pubblico. Ma nei corridoi, in privato, rigorosamente off the record sono in molti ad affermarlo: l'unico ostacolo che Pier Luigi Bersani e i suoi vedono tra se stessi e la guida del governo italiano (a parte il piccolo dettaglio del voto dei cittadini) ha un nome e cognome: Giorgio Napolitano.
Ieri il presidente della Repubblica è tornato alla carica, chiedendo ai partiti «un'ampia e operosa assunzione di responsabilità in vista delle sfide che sono davanti all'Italia» e ribadendo che al voto si deve andare a scadenza naturale e - soprattutto - «con nuove regole». A Bersani e ai suoi è toccato come al solito annuire, ma stavolta il commento asciutto di Bersani lascia intuire una certa freddezza: «Noi siamo sempre d'accordo con il presidente della Repubblica». E ieri la Velina Rossa diceva quel che il leader Pd non può dire: quell'insistenza del Presidente sulle «nuove regole» elettorali, «un fuori sacco non previsto da testo ufficiale», potrebbe essere «giudicata un'invasione di campo».

Ai vertici del Pd sanno che si tratta di un pressing destinato a crescere ogni giorno di più, e che potrebbe culminare in un messaggio alle Camere, l'arma istituzionale più forte che il Quirinale possa usare nei confronti della politica. Con un obiettivo preciso, una riforma del Porcellum che - questo è il timore - vada ad incidere soprattutto, se non esclusivamente, su quel premio che oggi assicura la maggioranza assoluta a qualsiasi coalizione arrivi prima, anche di un soffio. «In Sicilia tutti i partiti “storici” si sono divisi appena un terzo dell'elettorato - fa notare Pierluigi Castagnetti - se succedesse anche nel voto nazionale, quale governo potrebbe mai essere legittimato a guidare il paese, premio o non premio?». L'inaspettata vittoria in Sicilia rafforza la corsa di Bersani nelle primarie, ma i numeri restano spietati, anche per il Pd: 257mila voti contro i 505mila del 2008, e contro i 650mila di Ds e Margherita nel 2006.

Quel premio, quindi, è per Bersani una trincea da difendere, perché «il Porcellum va riformato, ma va garantita la governabilità», ossia i numeri, alla futura alleanza Pd (con Sel)-Udc che lui ha in testa, per controllare Camera e Senato e tenere in piedi un esecutivo. E quei numeri il premio del Porcellum li garantisce. Il problema è che Casini, invece, è sulla linea del Quirinale, e anche ieri (dopo un incontro con Bersani) ha spiegato ai suoi che, nonostante il sordo ostruzionismo del Pd, la modifica del Porcellum si farà. Con l'introduzione delle preferenze («Sono l'unica salvaguardia contro Grillo») e la riduzione del premio, attorno al 12%. «Se questo Parlamento non vuole suicidarsi, lo approverà, con i voti del Pdl e di un pezzo di Pd», è la convinzione del leader Udc. Per Bersani mettersi apertamente di traverso sarebbe difficile. I suoi contano sul «caos parlamentare» che rischia di impantanare la riforma. Ma sanno che Napolitano «continuerà a martellare su una riforma che non regali la vittoria al Pd e renda inevitabile un Monti bis, come chiede Casini e come vuole anche una parte dei nostri». Un parlamentare vicino a Veltroni (ma schierato con Bersani) racconta che un «autorevole ex ministro» che frequenta il Colle gli ha confidato che «Napolitano sta lavorando a due obiettivi precisi per la prossima legislatura: Giuliano Amato al Quirinale e Mario Monti a Palazzo Chigi. Gli unici che secondo lui possono guidare l'Italia fuori dalla crisi, dando ai partiti il tempo di riorganizzarsi». Monti, spiega la stessa fonte, è pronto a tornare alla guida del governo, che potrebbe lasciare se nel 2014 venisse designato alla guida della commissione Ue.

«Troppo tardi per Bersani, comunque», chiosa il deputato Pd.

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