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Nel fortino di Le Pen: «Solo Marine fermerà banche e immigrati»

L'appuntamento è tra i canali di Saint Leu, il vecchio quartiere all'ombra dell'antica cattedrale orgoglio della Piccardia. Didier Duhamel sbuca da un ponticello sulla Somma tirandosi dietro stampella e gamba malata. Marie Claire Bouvet, la consigliera comunale, s'affaccia trafelata dalle casette di legno e mattoni dove i camerieri di bar e bistro allineano tavoli e sedie ai raggi del sole. Marie Claire non sarebbe tanto preoccupata neppure se dovesse aggiungere un figlio agli otto messi al mondo nella sua carriera di militante e madre di famiglia. «Cosa devo fare con il giornalista - chiede titubante all'infaticabile Christian Mandosse, un ex maitre d'hotel di 54 anni oggi “gran maestro” del sito internet del Front National della Somme. Il disorientamento dura poco. Non appena gli chiedi una sede da visitare i tre ti scrutano stupiti. «Uffici, sedi ? E chi ha i soldi per pagarli? - ti rimbecca Marie Claire - Non siamo i socialisti o quelli di Sarkozy...Siamo poveri diavoli. Poveri di fatto...Diavoli per come ci dipingono».
Marie Claire per 20 vent'anni s'è divisa tra famiglia e Front National. Per vent'anni ha inghiottito insulti e umiliazioni. «Se scoprivano che eri del Front qui ti levavano il saluto persino gli amici». Ma anche qui i tempi cambiano. Alle presidenziali del 2012 un elettore su quattro ha votato Front National trasformando la Piccardia nel santuario della destra lepenista. E a fine marzo Marie Claire è entrata assieme ad altri tre esordienti, in quel consiglio comunale di Amiens riserva esclusiva, un tempo, di socialisti e neogollisti. Se nelle urne cova un radioso futuro sul terreno si vive un grigio presente. «I soldi - si lamenta Christian - continuano a non saltar fuori. Per gli incontri c'arrangiamo dopo cena o nel fine settimana con lo studio legale di un nostro dirigente. Io gestisco da solo il sito di tutta la regione e in tutta Francia non abbiamo né un giornale, né una televisione. L'unica radio è quella via internet messa a disposizione due ore alla settimana dagli amici italiani di Casa Pound».
«Proprio così - annuisce Didier 58enne veterano del Front National di Amiens - oggi siamo cambiati, parliamo d'economia, lottiamo per i più deboli e tuoniamo contro l'euro, ma gli euro veri non arrivano. Per le manifestazioni si fa la colletta e per gli appuntamenti usiamo i nostri cellulari. E nonostante i voti a far girare le cose siamo sempre noi, i soliti quattro vecchi gatti».
Anche i cavalli di battaglia del Front National sono in verità destrieri sfuggiti agli avversari e intercettati dalla grande madre matrona Marine Le Pen. Il primo si chiama Karim Sery, ha 23 anni e ci attende all'entrata del dormitorio universitario di Amiens. «Sì lo so, sembra strano che un meticcio arrivato dalle Isle de Riunion per studiare Scienze Politiche si sia innamorato del Front National. Qui all'Università non è stato facile, ma ora hanno dovuto accettarmi. E soprattutto hanno dovuto ingoiare la mia elezione al consiglio comunale al fianco di Marie Claire. Il Front National mi ha accolto e ha dimostrato che il razzismo sta altrove».
Se Karim è il volto nuovo, la nuova trincea passa dai capannoni abbandonati della Good Year. La fabbrica di pneumatici che un tempo dava lavoro a 1300 operai è oggi la più grande fabbrica di voti per un Front National in prima linea nella guerra alla delocalizzazione e alle multinazionali. «La gente ha capito che socialisti, neo gollisti e Unione europea fanno il gioco di banche e grandi capitali. Noi siamo i soli a non avere scheletri nell'armadio, gli unici a lottare contro la globalizazione, il grande capitale e le leggi di Bruxelles. E siamo i soli a batterci per il diritto alla casa dei francesi. Bisogna smetterla di riempire di arabi e africani le periferie. Bisogna restaurare i vecchi edifici del centro e darli esclusivamente ai nostri connazionali».
I bassi casermoni di periferia, tra marciapiedi squadrati e chiazze d'erba dove ragazzini africani e maghrebini in bici fanno la spola tra spacciatori e cassonetti bruciati, sono l'altra grande barricata del Fronte. «Qui - fa Didier - non è più Francia, qui è roba loro. Qui si spaccia droga e si ritrova chi viene a rubarci in casa». Mentre lui lo racconta il pusher di quartiere con capello rasta e giacca di pelle afferra una pietra, mira all'obbiettivo affacciato dal finestrino. Il sasso colpisce il cerchione e Didier pigia sull'acceleratore. «Lo vedi - gongola entusiasta - è come dico io, qui comandano loro e la polizia non muove un dito. E si meravigliano se la gente ci vota». Didier ora tira il freno, scende, parlotta al citofono e dal portone spunta un maghrebino sdentato in maglietta e pantaloni mimetica. Abbraccia Didier, chiede di noi, si confida a voce bassa: «Sono anch'io del Front National, mio padre era algerino, ma combatteva per la Francia.
Io faccio come lui, sto con chi la difende e difende i poveri. Ma qui mica lo capiscono, qui mi minacciano un giorno si è un giorno no. Ma i veri razzisti sono loro. Lo diceva già mio padre.

E io, 40 anni dopo, continuo a ripeterlo».

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