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No al burqa, Santanchè rischia un mese di cella

L'episodio del 2009 al Ciak di Milano. Il pm: "Protesta non autorizzata". Ma per il suo aggressore soltanto una multa

No al burqa, Santanchè rischia un mese di cella

Davanti al giudice, nell'inconsueta veste di testimone e imputato, l'onorevole Daniela Santanché spiega perché andò a prendersi gli spintoni davanti al teatro Ciak di Milano, in occasione della fine del Ramadan, nell'ormai lontano settembre 2009. «Volevo capire se era rispettata la legge italiana che vieta di andare in giro a volto coperto (la norma degli anni '70 era a tutela dell'ordine pubblico, ndr), e ho visto decine di donne con quella specie di progione ambulante che è il burqa». Solo che l'iniziativa le costò un colpo al costato, venti giorni di prognosi, un'accusa di manifestazione non autorizzata, e un processo che è arrivato alle battute finali. E ieri, il vpo - il magistrato onorario che solitamente sostituisce il pm nei dibattimenti di poco conto - è arrivato alla richiesta di condanna. Un mese di arresto e cento euro di ammenda per la «pitonessa», e 2mila euro di multa per Ahmed El Badry, l'egiziano che colpì la parlamentare allo sterno, mandandola al pronto soccorso.

E a ben vedere, qualcosa stona nella proporzione fra una sanzione pecuniaria per il reato di lesioni (benché lievissime) e un mese di carcere (ancorché sospeso) per non aver comunicato alla questura entro i termini di legge l'intenzione di organizzare una manifestazione di piazza. Ma tant'è, questo è il codice. Un'accusa di lesioni guaribili in venti giorni è materia da giudice di pace e viene punita con una multa, mentre per l'accusa di manifestazione non autorizzata è prevista la reclusione fino a sei mesi. E Daniela Santanché - in aula come testimone per il colpo subito da Ahmed El Badry e come imputata per il sit-in anti-burqa - rischia di uscire dal processo con una condanna peggiore del suo aggressore. Nonostante per quest'ultimo il giudice abbia chiesto di non riconoscere le attenutanti generiche né la provocazione, sostenendo - bontà sua - che non si può parlare di provocazione per un pugno sferrato «a una persona che esprime le sue opinioni».

«Mentre ci insultavano e minacciavano - ricorda la parlamentare in aula -, cercavo di dire che non eravamo lì per provocare. Poi a un certo quel signore con il braccio ingessato mi ha dato un pugno e mi sono accasciata». Ha quindi spiegato di aver raccolto nonostante tutto l'invito a entrare nel teatro «per vedere qual era la condizione delle loro donne». Una volta all'interno, però, ha preferito non fermarsi a lungo: «Ho pensato fosse meglio uscire prima che potessero accadere altre cose spiacevoli». Ma per la manifestazione, era stato chiesto il nulla osta? Santanché ha spiegato che all'interno del Movimento per l'Italia - da lei fondato in quei mesi - erano altre le persone deputate a simili incombenze, di aver comunque telefonato al prefetto per avvisarlo delle sue intenzioni qualche giorno prima del 20 settembre, e di aver telefonato lei stessa al questore nel giorno della protesta. Se è abbastanza, lo deciderà il giudice.

Il prossimo 2 dicembre, la sentenza.

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