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Nozze gay, da Parigi a Roma la rivolta dei "conservatori"

In Francia a migliaia in piazza per protestare contro le leggi che cambiano il concetto di famiglia tradizionale. Un'onda pronta a sfondare anche da noi

Nozze gay, da Parigi a Roma la rivolta dei "conservatori"

Migliaia di bandiere blu e rosa. La Francia profonda si dà appuntamento nel cuore di Parigi e si mette in marcia. Papà che tengono sulle spalle i figli, mamme che spingono le carrozzine, manifestanti che inalberano cartelli satirici scritti col pennarello. Per noi che viviamo di immagini e simboli, questo serpentone inarrestabile che scorre parallelo alle acque inquiete della Senna pare far rivivere un nuovo Sessantotto. Scintille di vita e fantasia al potere. E invece no, perché il popolo, questo popolo arrivato dalla provincia con i pullman e i treni, ha già perso. Ed è già stato incellofanato nella soffitta della storia. I matrimoni gay sono legge, il primo verrà celebrato mercoledì a Montpellier, presto avremo anche i marmocchi mano nella mano con due papà, ipotesi A o, variante B, con due mamme. Nessun ripensamento, dicono i socialisti al potere, anche se la folla che rumoreggia in questa domenica di primavera è immensa: 150mila persone, secondo i calcoli sparagnini della polizia, un milione, a sentire i commenti trionfalistici degli organizzatori.

Piano piano la legalizzazione dei matrimoni gay colora i continenti sul mappamondo, dall'Europa, anche quella più tradizionalista e cattolica, agli Stati Uniti. E presto, anche nel nostro Paese, potrebbe essere piantata la bandierina delle unioni omosessuali. Difficile capire se il contagio arrivi direttamente dalla frontiera di Ventimiglia o da una sorta di globalizzazione del movimento gay friendly. Una volta, solo ieri, lottare per i diritti degli omosessuali voleva dire, almeno in Italia, essere di sinistra. Oggi la frontiera si sta spostando e il dibattito esplode fragoroso dalle parti del centrodestra, dove prima l'argomento era tabù o quasi. Lo schema è molto semplice. Si offre alla piazza un caso concreto, come la carne di un ragazzo che soffre per la propria diversità: «Chiedo solo di esistere», è il messaggio in bottiglia recapitato a Repubblica dal diciassettenne Davide Tancredi. Ma la bottiglia viene aperta, quel foglio finisce sulla vetrina della prima pagina e allora anche Stefania Prestigiacomo va all'assalto: «Perché tanta ostilità dei cattolici sulle unioni gay?».

Domande, che per il modo in cui sono formulate, imbarazzano e mettono nell'angolo ogni eventuale interlocutore. Parole che fanno parte di un pensiero globale, di una sorta di girotondo per i gay che viene ballato a Milano, a Londra, in California e via via in Croazia, in Polonia, ovunque. Il progresso contro l'oscurantismo, la spontaneità contro l'oppressione. I matrimoni gay arrivano a Parigi come a Madrid e in buona parte degli Stati Uniti. Presto, par di capire, qualcosa succederà pure da noi. I ghetti, per fortuna, non esistono più, le catene vengono spezzate, ora chi era ai margini è seduto sulle poltrone del potere. Gli anti sono sopportati, con il loro dissenso, come retroguardia di un mondo che non c'è più. Pronti ad essere ricacciati, attraverso le botole di nuove norme liberal, nelle sacrestie in penombra del loro pensiero antiquato.

Ora a chiedere di esistere sono proprio quelli che non ci stanno. Gli oppositori che sfilano con il loro zaino colmo di motivazioni: religiose ma non solo, anzi anche politiche, culturali, psicologiche e chissà che altro. Ora sono loro a finire dentro un gigantesco recinto con 4500 poliziotti che li guardano a vista, cinquanta arresti preventivi dei più esagitati, un clima di tensione che favorisce il pugno di ferro da parte di chi ormai la sua battaglia l'ha portata a casa. C'è il rischio di incidenti, qualcuno irrompe nella sede del partito socialista e grida: «Hollande dimettiti», e allora si interviene con un apparato di flic. Chi prima era tollerato a fatica ora si fa intollerante, chi prima non aveva voce ora la alza per spegnere quella di chi non si riconosce nel cambiamento, chi prima si vergognava nei sottoscala dell'anonimato ora mette fra parentesi i dimostranti del no.

È un processo storico che si compie e una civiltà che si capovolge all'insegna dolce e seducente del politicamente corretto.

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