Politica

Il nuovo Senato regala l'immunità per tutti Lite sull'elezione diretta

T utto si può dire della «riformite» che s'è abbattuta in forma virulenta sul mondo politico, dopo decenni di epidemia cronicizzata e perciò stabile (parlarne a dismisura: ottima terapia di mantenimento). Si può dire, come il premier Renzi, che il lavoro procede spedito, «alla faccia dei gufi». O, come il ministro Boschi, che l'asse «tiene», il clima è buono, tutti le sorridono e «spero che dalla prossima settimana si cominci a votare in aula (già dal 9, ndr), così che entro luglio ce la facciamo». Oppure, come il capogruppo di Forza Italia, Paolo Romani, che «subito dopo faremo anche l'Italicum, entro l'estate». O infine, come il presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, che «dopo trent'anni non possiamo fallire e, visto che Forza Italia e Lega hanno un atteggiamento estremamente collaborativo, siamo oltre il patto del Nazareno».
Tutto si può dire, della riforma-harahiri nella quale il Senato discute il proprio decesso e del gioco a scacchi sulla legge elettorale. Tutto, tranne che il governo abbia le idee chiare. Meglio: sulla velocità e sul come, sì. Sul fatto che occorre spezzare qualsiasi voce che osi il dissenso, pure. Ma sull'architettura costituzionale, proprio no; si va a vento, come le banderuole a seconda di quello che spira. Così Renzi (si firma «Renzi & Co.») scrive ai Cinquestelle una lettera nella quale dovrebbe definire i termini della legge elettorale, ma butta una palla avvelenata sull'intera prateria delle riforme, e fa quasi trapelare l'insana tentazione di imbarcarsi Grillo con tutta la banda in maggioranza (gioco facile: non risponderebbero mai di sì). E così pure, ieri pomeriggio, dopo il dietro-front dell'altra settimana, l'articolo 6 proposto dalla Boschi in Senato - quello che abrogava l'autorizzazione all'arresto e alle intercettazioni per i nuovi senatori (che non dovrebbero essere eletti, bensì «inviati» da Regioni e Comuni) - s'imbatteva nell'emendamento dei due relatori Finocchiaro e Calderoli, ormai vanno come un sol uomo, per il ripristino dell'articolo 68 della Costituzione (tale e quale com'è ora). Di fronte all'ultimo refolo d'immunità, il governo volava via, con la «durissima» Boschi, «tetragona e secchiona», a svolazzare lieve esprimendosi «a favore».
Il ribaltino è passato facile, grazie al voto di tutti i gruppi, eccezion fatta per M5S, gli ex grillini e Sel. Unico astenuto: Augusto Minzolini, azzurro già vicino alle posizioni della bozza Chiti. «Il governo ha dato parere favorevole - commentava la Boschi come se nulla fosse - alla luce del dibattito svolto in commissione». Ala protettiva della Finocchiaro: «Abbiamo avuto una discussione generale molto ricca e un'indagine conoscitiva con molti costituzionalisti... tutti hanno confermato la necessità dell'immunità, un presidio all'esercizio di una funzione», sentenziava.
Scontato per i grillini il passo di carica: «Difendono i loro privilegi, è uno sfregio ai cittadini, è un Parlamento non legittimato a fare le riforme». «Un voto da brivido», lo definiva Luigi Di Maio, mentre già dal mattino Grillo s'era impegnato a premere per fare subito la legge elettorale e lasciar perdere il Senato. Qualche dubbio sulla legittimità di mantenere guarentigie per senatori non eletti direttamente dal popolo lo esprimeva però anche la vicepresidente di Palazzo Madama, Linda Lanzillotta (Pd). Ulteriore segno che i veri, grandi nodi, restano sul tappeto. Primo fra tutti, l'eleggibilità dei senatori, che riscontra favori sempre maggiori. Saranno affrontati presumibilmente domani, fuori di qui. Quando Renzi potrebbe incontrarsi per un faccia a faccia con Silvio Berlusconi per il «via libero» definitivo. Ma, anche, quando vedrà i grillini per sapere che ne pensino della lunga sfilza di «voi ci state? Noi sì». Dal farraginoso sistema elettorale del Toninellum (chiede ballottaggi, premio di maggioranza, riduzione dei collegi e vaglio preliminare di costituzionalità) Renzi allarga il campo a tutti i suoi cavalli di battaglia riformisti: dall'abolizione del Cnel a quella del Senato, dalla riduzione delle competenze delle regioni a quella dello stipendio dei consiglieri regionali, fino a rivedere assieme l'istituto dell'immunità parlamentare.

Un «quasi programma di governo costituente», la cui domanda occulta, senza dubbio retorica, suona assai semplice: volete voi diventare renziani? Lasciate fare a me, ci divertiremo un mondo.

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