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«Offro consigli agli abbonati su come investire i risparmi»

Nonostante non ne abbia ancora compiuti 29, Giovanni Daprà dice d'aver visto 50 anni di finanza nel giro di appena 5. Se il suo moltiplicatore è davvero 10, promette bene, considerata la professione che s'è inventato: dispensare consigli a pagamento via Internet su come investire i risparmi. Fresco di una laurea in finanza alla Bocconi di Milano, la sua città, il giovanotto era approdato a Londra per continuare gli studi alla Cass business school. Mentre conseguiva un master in finanza quantitativa, nel 2005 fu assunto alla Deutsche bank, divisione global market. «Da questo osservatorio privilegiato ho assistito al boom e al declino, mi è passato davanti il film di questa crisi planetaria ancora in atto. Ho capito che il sistema finanziario con cui le banche fanno affari non è più sostenibile. E ho deciso di uscirne, prima che crolli o venga comunque ridimensionato».
Fortuna, o destino, ha voluto che Daprà incontrasse in Deutsche bank un altro italiano, Paolo Galvani, laureato in statistica, con un invidiabile curriculum (Banca Imi Lux, Morgan Stanley, Banca Sella), già distintosi per aver fondato Prestiamoci, la prima società che promuove lo scambio di denaro tra privati senza l'intermediazione delle banche. Dalla scintilla fra i due è nata Money farm. Se non avessero entrambi lavorato nel Regno Unito, alle nostre latitudini si chiamerebbe Fattoria del denaro. Ufficialmente si tratta di una Sim (società d'intermediazione mobiliare), iscritta all'albo Consob e al Fondo nazionale di garanzia. In pratica è il primo sito italiano di indicazioni personalizzate sugli investimenti che fa l'interesse del risparmiatore anziché quello delle banche.
Il meccanismo di funzionamento è semplice. Per testarlo gratuitamente basta un computer. Si va su Moneyfarm.com, si inseriscono un indirizzo di posta elettronica e una password e si compila un questionario che, utilizzando le teorie di finanza comportamentale, classifica il tipo d'investitore e la sua propensione al rischio. Alla formulazione delle domande ha contribuito la professoressa Barbara Alemanni, docente alla Bocconi. Se, poniamo, un potenziale investitore molto timoroso, insomma cresciuto a bistecche di coniglio, avrà dato tutte le risposte più prudenti, indicando un orizzonte temporale di tre anni prima dello smobilizzo dei suoi risparmi, si ritroverà classificato «prudente», come l'8% di coloro che hanno eseguito il test. Per inciso, degli attuali clienti di Money Farm il 16% è «misurato», il 20% «equilibrato», il 23% «curioso», il 19% «avventuroso», l'11% «intrepido». Ho arrotondato i decimali.
Investendo oggi 200.000 euro con un obiettivo di tre anni secondo le indicazioni della Fattoria del denaro, l'investitore «prudente» si ritroverebbe (in teoria) nel 2015 con 225.469,27 euro, pari a un 4% annuo, cioè un 12,73% complessivo nel triennio per effetto degli interessi composti. Invece l'investitore «intrepido», tendenza kamikaze, si ritroverebbe (sempre in teoria) con 229.286,74 euro, pari a un 4,56% annuo, cioè un 14,64% complessivo nel triennio per effetto degli interessi composti. A puro titolo statistico, va aggiunto che il «prudente» negli ultimi tre anni avrebbe guadagnato il 18,11% e l'«intrepido» addirittura il 26,08%, ovviamente al lordo, perché un 20% della plusvalenza se ne va in ritenute fiscali. «Bisogna però tenere sempre presente che le performance passate non sono un indicatore affidabile di quelle future», precisa Daprà, «e che esse possono variare nel tempo e non sono in alcun modo certe». Avvertenza che fa il paio con quella che appare nelle simulazioni effettuate sul sito: «Il rendimento dei portafogli non è garantito da Money Farm e investendo puoi non recuperare l'intero capitale investito».
Per conseguire questi risultati, più di un terzo del capitale del «prudente», per l'esattezza il 34,38%, dovrebbe essere investito in cash e bond governativi a breve, cioè strumenti finanziari in genere con scadenza non superiore a un anno, molto liquidi e con un livello di rischio basso, tipo Bot italiani o T-Bills statunitensi, e solo il 10,05% nel mercato azionario di Paesi sviluppati (il 2,43% in quello di Paesi emergenti). Ma qui siamo già al capitolo successivo, il «come» investire, che rappresenta appunto l'attività di Money Farm. In cambio di un abbonamento che costa da un minimo di 9,99 euro a un massimo di 34,99 al mese e può essere disdetto in qualsiasi momento, Daprà e i maghi della finanza che lavorano con lui costruiscono portafogli su misura del cliente, gli consigliano che cosa acquistare, gli forniscono assistenza via mail e lo avvisano tempestivamente se sono necessari ribilanciamenti dell'investimento in base alle variazioni del mercato. «Il cliente fa tutto da solo, attraverso la sua banca. Money Farm non gli vende nessun prodotto».
In genere, che cosa gli fate comprare?
«Solo Etf».
Che roba è? Mai sentita nominare.
«Exchange traded funds, fondi negoziabili in Borsa. Replicano passivamente la composizione di un indice di mercato, che può essere geografico, settoriale, azionario, obbligazionario, e di conseguenza replicano anche il suo rendimento».
Non ci ho capito nulla.
«Immagini tante scatole con una categoria di titoli dentro ciascuna di esse: titoli di Stato e azionari di Paesi sviluppati ed emergenti; bond di società con tripla A+; materie prime come oro, petrolio, cereali; bond governativi legati all'inflazione; beni immobili; liquidità. Negli Stati Uniti gli Etf rappresentano il 50% del risparmio gestito. In Italia si sono sviluppati negli ultimi cinque anni. In Europa l'80% degli Etf sono transati fuori dalle Borse. Ne comprano un sacco i fondi comuni, le gestioni patrimoniali, le Assicurazioni Generali».
Allora perché non se ne sente parlare?
«Non avendo un gestore che deve prendere le decisioni, visto che sono gli indici a decidere, costano pochissimo. Quindi le banche non li reclamizzano. Anzi, li sconsigliano, sostenendo che sono altamente rischiosi. Tenga conto che la nostra strategia è basata sul fatto che tra consulenza di Money Farm, costo degli Etf e spese di transazione bancaria l'investitore non deve pagare più dell'1% del capitale investito. Nei fondi comuni siamo all'1,60%, nei prodotti assicurativi in media al 2,5%, con punte del 3-4%».
Sugli Etf le banche guadagnano poco.
«Le banche vendono prodotti finanziari con incentivi. A differenza di noi, sono remunerate da chi li crea. L'impiegato che sta allo sportello li offre al cliente perché deve raggiungere un certo budget sul quale avrà un premio. È una spirale perversa. I promotori finanziari arrivano a guadagnare fino al 70% del costo degli strumenti che smerciano. Dal 1° gennaio nel Regno Unito sarà vietato vendere prodotti sulla base di commissioni percepite. Perché non si fa anche in Italia?».
E chi garantisce che anche Money Farm non prenda commissioni?
«Il codice. Sarebbe illegale. Ma, anche se lo volessimo, non potremmo comunque essere disonesti. Primo, perché non sappiamo che cosa acquisterà il cliente dopo i nostri suggerimenti. Secondo, perché non essendo gli Etf nominativi, non si vede chi e come potrebbe riconoscerci una provvigione sottobanco».
Da chi vengono emessi gli Etf?
«Quelli quotati in Italia sono circa mezzo migliaio, molti dei quali emessi da importanti istituti di credito, come Deutsche bank, JP Morgan, Hsbc, Ubs. Noi abbiamo 12 tipologie di portafoglio e il ribilanciamento avviene ogni uno o due mesi. Non siamo molto movimentisti, al contrario dei fondi comuni, che hanno una media annua di turn over del portafoglio intorno al 140%, o di certe gestioni patrimoniali che arrivano al 300%».
Quanti risparmiatori assistete?
«Un centinaio, finora. Per un totale di 6,5 milioni di investimenti».
Date quelli che ritenete buoni consigli. Ma se sono cattivi, non pagate dazio. Così sono capaci tutti.
«Nessuno costruisce un palazzo con la speranza che crolli. Se un cliente disdice l'abbonamento, crolla il mio business. In natura esistono anche i terremoti. Ma perché dovrei lavorare contro me stesso?».
E che prove potete offrire circa il fatto che i vostri sono buoni consigli?
«Da gennaio a oggi, chi avesse investito negli Etf consigliati da noi sarebbe in attivo da un minimo del 4,10% sul portafoglio meno rischioso a un massimo del 12% sul portafoglio più rischioso, al lordo delle ritenute fiscali».
Ma non siete voi super esperti a teorizzare l'equazione maggior rendimento uguale maggior rischio?
«Il perdere tutto il capitale non lo contempliamo neppure per il cliente-squalo, quello più propenso all'azzardo. Consigliamo portafogli comunque molto conservativi, adatti ai risparmiatori, non agli speculatori».
In un video sul vostro sito compare per un frazione di secondo la scritta «Roubini global economics». Che cos'è? Percezione subliminale?
«No, è che fra i nostri advisor c'è proprio la società fondata dal professor Nouriel Roubini, l'economista statunitense già collaboratore del Dipartimento del Tesoro, che ha previsto per primo, con due anni d'anticipo, la crisi economica mondiale scoppiata nel 2008. Roubini è uno dei pochi che sa leggere i bilanci delle nazioni».
Lei che idea s'è fatto di questa crisi?
«È andata al di là delle banche. Organismi come la Fed e la Bce hanno consentito il salvataggio di fondi d'investimento che erano arrivati a bruciare 8 miliardi di dollari in tre settimane. È così passato tra banchieri e finanzieri un messaggio devastante: se perdo soldi, mi salva lo Stato; se li guadagno, me li tengo. Invece chi regola il mercato avrebbe dovuto lasciar fallire le istituzioni che non stavano più in piedi con le loro gambe».
Per prevedere gli scenari futuri avete un algoritmo o la sfera di cristallo?
«Nessuno dei due. Al nostro comitato di investimenti e alla consulenza di Roubini affianchiamo un modello quantitativo basato su quello sviluppato da Fischer Black e Robert Litterman in Goldman Sachs, nel 1990, per l'allocazione ottimale del portafoglio. Il risparmiatore italiano spesso sbaglia questo passaggio. È come se andasse a comprare una casa e si occupasse per il 70% dei rubinetti del bagno, anziché concentrarsi sulla planimetria. Lei mi chiede se Banca Intesa sale o scende e io non le rispondo neanche, non lo so e non m'interessa, giacché tutte le nostre energie sono concentrate sull'asset location, sulla costruzione corretta del portafoglio, che equivale alla planimetria dell'edificio».
Esiste o è mai esistito un posto più sicuro degli altri in cui mettere i risparmi?
«Anche se fossi sicuro che esiste, non consiglierei mai a un cliente di puntarci il 100% dei suoi risparmi. L'unica strategia giusta è diversificare».
C'è chi chiude gli euro nelle cassette di sicurezza, sperando di preservarli qualora tornasse la lira.
«Dimentica che la Germania potrebbe decidere, in quel caso deprecato, di cambiare gli euro solo ai tedeschi. Non è sicura manco la Svizzera. Vorrei ricordare che negli anni Settanta la Confederazione elvetica, per frenare l'eccessivo flusso di capitali stranieri, mise una patrimoniale del 10% a trimestre per i non residenti. Cioè un 40% l'anno».
Non resta che il mattone.
«In alcune città americane il prezzo delle case è sceso del 40%, anche di più. Idem in Gran Bretagna».
Da 1 a 10, quant'è probabile la fine dell'euro?
«Quattro. Più probabile che ne escano la Grecia e qualche altro Stato. O che se ne vada la Germania. Ma l'Unione europea e la moneta unica continueranno. Certo, il rischio è da tenere presente, non a caso l'esposizione dei nostri portafogli su dollari e altre valute varia dal 20% al 60%».
E se tornasse la lira?
«Sarebbe un disastro. Bruceremmo mezzo secolo di progresso economico-sociale. Si dimezzerebbe il risparmio delle famiglie. Ci ritroveremmo per il 50% più poveri e impiegheremmo più di dieci anni a risollevarci. Verosimilmente tutte le banche fallirebbero perché non riuscirebbero più a pagare le passività estere in euro. I bond governativi varrebbero la metà. Per non parlare dei moti di piazza».
Resta il fatto che mancano all'appello i 300 e passa trilioni di dollari, cioè 300.000 miliardi di dollari, dei titoli spazzatura chiamati derivati. Chi pagherà questo conto?
«Li ho venduti per cinque anni. Non li demonizzo, forse perché li capisco. Esistono dai tempi dell'antica Roma. Dipende da che cosa ci si fa, con i derivati. Sono paragonabili a un coltello: puoi usarlo per sbucciare una mela o per uccidere una persona».
Il modo più facile per perdere soldi?
«Investire in Borsa senza cognizione di causa».
Il modo più rapido per farli?
«Se lo sapessi, non starei in questo ufficio a lavorare 12 ore al giorno».
Ma che cos'è per lei il denaro?
(Per la prima volta non risponde a colpo sicuro). «Uhm... cioè...». (Riflette). «Una convenzione».
(614. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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