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Ora Letta piace più di Renzi ma il Pd vuole rottamarlo

Per la prima volta il premier supera il sindaco nel gradimento. Nel partito però cresce il malumore verso le larghe intese. La Bindi: il ventennio del Cav non è finito

Il sindaco di Firenze Matteo Renzi a Palazzo Vecchio
Il sindaco di Firenze Matteo Renzi a Palazzo Vecchio

A Palazzo Chigi, superata la tempesta, Enrico Letta si gode i sondaggi, che rilanciano sia il suo governo che la sua leadership. Il premier si guarda bene dal dirlo, ma i suoi ammettono che più ancora di quel 32% attribuito al Pd dopo la soluzione della crisi, e di quel lieve aumento di fiducia nel governo (dal 49,6 al 49,8%), è lo scarto di popolarità tra Enrico Letta e Matteo Renzi a dare soddisfazione. Per la prima volta, il premier supera il sindaco nel gradimento, di quasi 4 punti. Anche se l'elettorato di centrosinistra continua a guardare a Renzi come leader preferito per le prossime elezioni: 45,5% contro 33,3%.
Le ultime mosse del premier hanno pagato, in termini di immagine. Compreso il duro botta e risposta con Alfano sulla «fine del ventennio berlusconiano». Un messaggio - come Alfano sa bene - che il premier ha dovuto lanciare alla base di un Pd sempre più allergico alle larghe intese e non del tutto convinto che la fine della crisi rappresentasse un successo, posto che la «strana maggioranza» con Berlusconi era rimasta tale e quale. E infatti a rispondere per le rime al premier è stata ieri Rosy Bindi, che senza giri di parole ha smontato l'assioma di Palazzo Chigi. Ma quale nuova maggioranza «più coesa»: quella che di cui Letta è premier «era e resta una larga intesa». E il «ventennio berlusconiano», incalza Bindi, è ben lungi dall'essere finito: «Finirà quando noi vinceremo le elezioni e finiranno le larghe intese, con o senza decadenza di Berlusconi».
Parole che non piacciono a Palazzo Chigi ma che rispecchiano umori diffusi nel partito. Nel quale infatti si aprono fronti che preoccupano un po' il governo, perché rischiano di turbare l'armonia della «strana maggioranza» e di rimettere in tensione i rapporti tra Pd e Pdl. Uno è quello della legge di Stabilità: ieri il lettiano Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio, ha tentato di stoppare con una motivazione tecnica gli emendamenti Pd che chiedono di esentare dalla prima rata Imu solo le abitazioni con una rendita catastale bassa. Boccia ha chiesto al suo partito di «lavorare per far passare l'attuale impianto dell'Imu», ben sapendo che forzare l'accordo raggiunto con il Pdl creerebbe grossi problemi ad Alfano. Il quale non può permettersi cedimenti sul tema, perché «i falchi Pdl lo metterebbero sotto accusa, dandogli del venduto e del traditore», è l'allarme di un esponente Pd molto vicino al premier. Ma buona parte dei parlamentari Pd non intende abbandonare questa bandiera, dopo i compromessi ingoiati in nome della stabilità.
L'altro fronte delicato per il governo è la riforma elettorale. Il renziano Giachetti rilancia la sua battaglia anti-Porcellum tirandosi dietro diversi deputati Pd. Il governo gli replica per bocca del lettiano Francesco Russo: «Serve un punto di incontro tra i partiti. E in Senato si sta già lavorando bene per cercarlo. Si evitino iniziative strumentali e ideologiche: nessuno vuole mettere in discussione il bipolarismo.

Letta e Alfano non lavorano per pasticci centristi, ma per assumere la leadership dei rispettivi schieramenti, che poi si scontreranno alle prossime elezioni».

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