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Ora l'Italia ha tutte le carte per far cambiare l'Europa

C'è un governo credibile, i conti sono in ordine e le riforme avviate: possiamo chiedere a Bruxelles di dire basta all'egoismo tedesco 

Ora l'Italia ha tutte le carte  per far cambiare l'Europa

Si è forti in Europa, se è forte la nostra democrazia. Cioè se dopo le elezioni si formano governi forti, capaci di affrontare le crisi. Dopo 60 giorni il nostro Paese ce l'ha fatta. Adesso abbiamo tutte le carte in regola per far valere, le nostre istanze di cambiamento della politica economica in Europa.
Già con il governo Berlusconi, l'Italia aveva approvato il «Six Pack» e la riforma dell'articolo 81 della Costituzione. Ed è questo che ha reso possibile, durante il governo Monti, l'ok alla relativa riforma costituzionale e al Fiscal compact. A dicembre 2012 è stata approvata dal Parlamento anche la Legge rafforzata che qualifica i vincoli derivanti dall'inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Pertanto, l'Italia si pone già oggi come il Paese più avanzato in Europa dal punto di vista del controllo dei bilanci.

La bussola del sistema continua ad essere costituita dal rispetto dei due noti parametri del rapporto tra il disavanzo e il pil, che non deve superare il 3%, e del rapporto tra il debito pubblico e il pil, che non deve superare il 60%. Ma, come previsto dal Fiscal compact, le regole interne devono disciplinare meccanismi volti ad assicurare l'equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito.
Ciò determina una fondamentale conseguenza: sono in primo luogo le istituzioni nazionali a dovere assicurare, e per di più in ottemperanza ad un obbligo costituzionale, la disciplina di bilancio. A riguardo, è fondamentale ricordare come l'equilibrio di bilancio debba realizzarsi tenendo conto degli andamenti del ciclo economico (quindi senza riferirsi alle singole annualità) e del verificarsi di eventi eccezionali che rendono possibile il ricorso all'indebitamento.
Con l'ok alla Legge rafforzata è stato anche dato il via libera all'istituzione del Fiscal council, un organismo di raccordo tra istituzioni europee e nazionali in tema di politica economica. Il Fiscal council è indipendente, dovrà garantire la correttezza dei conti pubblici italiani e interloquire con la Commissione Ue. Ma dovrà porsi il problema di un rapporto non subalterno. Finora le elaborazioni di Bruxelles, per quanto riguarda gli andamenti del quadro macroeconomico su cui sono poi costruite le politiche europee, non sono state oggetto di alcuna verifica critica. Se quelle previsioni sono errate, come nell 2012, la conseguenza è quella di imporre, com'è avvenuto, a ciascun Paese politiche eccessivamente deflazionistiche.

Senza alcuna analisi preliminare seria e approfondita, la ricetta che si è scelta per far fronte alla crisi è la colpevolizzazione degli Stati con la teoria del «sangue, sudore e lacrime». Niente di più sbagliato. Ce lo insegnano gli esempi contrapposti di Bulgaria e Argentina. La prima, salvata dal Fondo monetario internazionale, dopo oltre 10 anni di austerità, è il Paese più povero d'Europa, con un reddito pro capite di 11mila euro annui. Al contrario, l'Argentina, che nel 2001 era in pieno default, ma che ha adottato politiche di risanamento opposte a quelle bulgare, oggi cresce in media del 7%-8% all'anno.
Da settembre-ottobre 2012 anche l'Fmi ha abbandonato il dogma dell'austerità, per abbracciare la teoria della crescita, rilevando rischi di «avvitamento» delle economie dell'Eurozona. Secondo le analisi del Fondo, alcuni errori di previsione della crescita, effettuati negli ultimi anni, indicano la presenza di una sistematica sottovalutazione dell'impatto delle misure di rigore. Il commissario per gli Affari economici dell'Ue, Olli Rehn, ha cominciato a fare (in ritardo) autocritica sulle (errate) «ricette» e ha «aperto» ai Paesi in difficoltà, concedendo un tempo maggiore per correggere il deficit eccessivo.
Agli «elementi di flessibilità» ha fatto immediato ricorso la Francia, che ha registrato nel 2012 un rapporto deficit/pil pari a -4,8%. E venerdì 26 aprile la Spagna ha già ottenuto dall'Europa un allentamento del Patto di stabilità: deficit al 3% solo nel 2016, e non nel 2014. Al contrario, l'Italia, che ha registrato nel 2012 un rapporto deficit/pil pari a -3%, pienamente entro i parametri di Maastricht, è ancora tenuta in sospeso circa la chiusura della procedura di extra-deficit del 2009 e, di conseguenza, anche circa la concreta possibilità di pagare alle imprese i debiti scaduti della pa.

Sorda a tutto e a tutti la Germania. In particolare, secondo il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaüble, «occorre tenere fede a ciò che è stato già concordato in Europa in termini di austerità e risanamento». La Germania, con il suo potere economico, dovrebbe invece garantire la crescita dell'Eurozona. Fino ad oggi è avvenuto l'esatto opposto. L'euro tedesco, di fatto, sta demolendo l'Europa, creando squilibri crescenti nelle bilance dei pagamenti e nei tassi di interesse. È questa la malattia mortale che ci affligge. Perché gli squilibri nei rapporti tra esportazioni e importazioni e nei flussi di capitali si riflettono sul deficit e sul debito degli Stati. E quindi sul loro merito di credito. Negli anni della crisi i mercati hanno sanzionato tutto questo.
La soluzione è una sola: i Paesi che registrano un surplus nella bilancia dei pagamenti (che include movimenti delle merci e flussi di capitali) hanno il dovere economico e morale non di prestare i soldi agli Stati sotto attacco speculativo, ma di «reflazionare». Cioè aumentare la loro domanda interna, trainando le altre economie. Si riequilibrano così pure i conti pubblici e tornano ai livelli fisiologici i tassi sui debiti sovrani.
Il vero compito che l'Italia oggi deve portare a termine, quindi, è implementare un nuovo modello di governance economica europea. Dobbiamo essere determinanti nella scelta se continuare nella politica fallimentare e recessiva di stampo tedesco o cambiare rotta verso un'Europa solidale e florida.

Su questo punto l'Italia è l'unico Stato in cui centrodestra e centrosinistra la pensano allo stesso modo. Lo dimostra la risoluzione approvata all'unanimità dal Parlamento pochi giorni prima del Consiglio Ue del 28-29 giugno 2012, con cui il governo si è impegnato a promuovere iniziative per lo sviluppo con l'obiettivo di creare in Europa l'unione bancaria, di bilancio e politica e di modificare i Trattati per attribuire alla Bce il ruolo di prestatore di ultima istanza, al pari di tutte le altre banche centrali mondiali. Sostenuto da una maggioranza che ha una visione chiara sull'Europa e avendo le passate legislature fatto tutto il necessario per porre basi solide, su questo punto il nuovo governo non può permettersi di fallire.

Adesso non ci sono più alibi.

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