Ma ora non confondete Dio con la particella di Higgs

Ma ora non confondete Dio con la particella di Higgs

Ma Dio può essere una particella?
Le immagini della felicità di tanti grandi scienziati alla notizia definitiva del buon esito di ricerche durate mezzo secolo stringono il cuore: sì, qualcosa qui da noi, pianeta Terra, continua a funzionare, e nonostante ci troviamo tutti sull’orlo dell’abisso c’è qualcuno che cerca di illuminare questo abisso, che una volta illuminato appare forse ancora più grande, ma meno spaventoso. Sì, in questo universo vale ancora la pena di abitarci. C’è ancora tanto da conoscere, da imparare. La prima, bella notizia che ci viene da Ginevra è questa.
Noi neopagani di solito immaginiamo Dio come un signore canuto dalla gran barba bianca, seduto su un trono invisibile perché nascosto dalle ampie falde del suo grande candido mantello. In mano Dio tiene una piccola biglia, e questa biglia è l’universo. Dentro quella biglia, da qualche parte, miliardi di volte più piccoli del più piccolo granello di polvere, ci siamo anche noi, con i nostri amori, i nostri mal di testa, le nostre case di periferia, i nostri figli che non smettono di darci preoccupazioni.
Si nasce, si ama, si ride, ci si ammala, si muore. Ma a Dio, che è così grande, così eccessivamente grande, cosa mai può importare di me, di te?
La tradizione giudaico-cristiana offre un’altra immagine di Dio. Il Salmo 138 - uno dei punti più alti mai raggiunti dalla riflessione umana su questo tema - dice: «Signore, Tu mi scruti e mi conosci (…) penetri da lontano le mie vie (…) sei Tu che hai formato le mie reni/ e mi hai tessuto nel grembo di mia madre (…)».
Qui, Dio agisce da dentro la materia. Gesù opera guarigioni toccando i malati, e non fa apparire miracolosamente i pani e i pesci, ma moltiplica qualcosa che c’è già. Dio è un’energia, una forza che dà forza, qualcosa che opera dentro i microtessuti della realtà.
Anche la liturgia cattolica ricorda, nel Prefazio: «È veramente cosa buona e giusta renderti grazie e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode, Dio onnipotente ed eterno, dal quale tutto l’universo riceve esistenza, energia e vita». E subito dopo precisa: «Ogni giorno del nostro pellegrinaggio sulla terra è un dono sempre nuovo del tuo amore per noi», a significare che Dio non ci ha fatti una volta per tutte, ma continua a farci.
Che, dunque, a Dio non basti l’infinitamente-grande, è evidente.
Ma da qui a dire che Dio è una particella ce ne corre. La differenza è infinita. Anche se in questa storia c’è qualcosa di importante che non deve andare perduto.
La differenza sta in questo, che Dio - nell’esperienza di tutti gli uomini di tutti i popoli e di tutte le culture - è e rimane il totalmente-Altro. Altro non solo dalla materia o dal mondo visibile, ma da tutto: Dio è altro dall’universo, è altro dai miei figli, è altro dall’anima di mio nonno che sta sicuramente in paradiso, ed è altro da me, dalla mia coscienza più profonda. La tentazione del sapere umano, e della scienza in particolare (ma non ne farei un caso speciale), è sempre stata quella di cercare di ridurre ciò che è «altro» (anche quando esso è presente qui e ora, come dimostra la domanda degli apostoli: chi è costui) a qualcosa di fotografabile, catalogabile, riducibile alle nostre categorie. Questa è sempre stata una via fallimentare, e non credo che il bosone di Higgs potrà cambiare le cose.
Ma c’è anche una cosa importante, e cioè che la forma dell’universo, così come si sta delineando scoperta dopo scoperta, ipotesi dopo ipotesi, modello dopo modello, va via via somigliando a qualcosa di stranamente familiare. Un genio dimenticato, Michel de Certeau, 40 anni fa scrisse un capolavoro, L’invenzione del quotidiano, dove mostrava come la creatività umana si esprima per il 99% nelle cose di tutti i giorni (dal fare la spesa al parlare con i figli) e che all’arte, alla scienza, alla letteratura non resti più che l’1%. Non ci fa venire in mente la «materia oscura» di cui nulla sappiamo, e che di cui è fatta la più parte dell’Universo?
Anche il bosone di Higgs segna un passo su questa via. Io non penso che Dio sia una particella, che è soggetta alle stesse domande di tutto il resto circa l’origine (a meno che non sia titolare di una qualche differenza ontologica, cosa questa che alla scienza non può interessare). Credo però che tutto rechi un’impronta, il segno di qualcosa che la fa essere, così come i figli portano impressa per sempre l’impronta dei padri.


Il bosone di Higgs fu chiamato «particella Dio» per una felice seppure truffaldina invenzione giornalistica. Ma il segno che porta in sé ha comunicato un’euforia, agli scienziati e poi, per contagio, a noi tutti, che ne fa qualcosa di speciale.
E noi abbiamo un grande bisogno di qualcosa di speciale.

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