Politica

Il partito dei faziosi che odia la tv libera

Il partito Rai esisteva, e in parte esiste ancora. È un partito di centro che guarda a sinistra

Il partito dei faziosi che odia la tv libera

Il partito Mediaset non esiste. Eppure esiste. Tutto cominciò dalla rottura del monopolio della Rai sulla coscienza nazionale e sul mercato pubblicitario. Il partito Rai esisteva, e in parte esiste ancora. È un partito di centro che guarda a sinistra. Nel tempo è stato colonizzato dal format del contropotere informativo, una balla che ci ha rifilato altre balle, la lagna, l'irresponsabilità, il politicamente corretto in onda tutto il giorno su tutti i canali di Radiorai, lo scandalismo, il conformismo, la furbizia manettara, Massimo Ciancimino. Quello è il peccato originale che due, tre decenni dopo, l'imprenditore milanese oggi paga dopo essere stato tre volte presidente del Consiglio, dopo avere reinventato la Repubblica e il suo linguaggio, dopo il regalo agli italiani dell'alternanza democratica dei governi, dopo aver trovato perfino la strada di un governo di salvezza nazionale e di una rielezione presidenziale inaudita quando arrivò lo stallo. Fedele Confalonieri a colloquio con Giorgio Napolitano è episodio sprovvisto di formalità, ma denso di significato.

Le quotazioni in Borsa delle azioni e la salvezza di un patrimonio che è oggetto del desiderio di molti sono parte del problema, ma nella storia del berlusconismo si tratta di nuovo di una questione politica. Mediaset qualche volta ha fatto un po' di caciara, ha copiato gli stilemi dell'informazione d'assalto, ma sempre in modo innocente, senza inventare quello che non poteva inventare: la perfidia demagogica, la propaganda, la faziosità sistematica e programmatica. Mediaset intrattiene, si fa volere bene dalle vecchiette e dalle massaie e dai giovani che non vogliono pensare le cose mortali, e si rifugiano nell'immortalità dei tronisti e dei velini, nei miti d'oggi che moltiplicano le immagini a mezzo di immagini.

Mediaset è cultura politica che trasforma il paese, bene o male, ma non è politica faziosa. Non appartiene al Novecento delle ideologie e dei partiti, ha le sue incertezze identitarie, temporeggia, compra, assimila, ripropone, americaneggia, senza il cipiglio della verità e del dogma, in modo commerciale, privato, pro-mercato, mantenendo nelle modalità possibili quel risultato che fu il monopolio infranto e generando altre televisioni, altri modelli pay, introducendo Murdoch e il suo stile che oggi compiono dieci anni. Il nuovo editore de La7 si fece le ossa con Berlusconi e Dell'Utri. Un mafioso e frodatore del fisco e magnaccia capace di inventarsi una tale ricchezza, di produrla incessantemente da venticinque anni, di imporla e difenderla con la forza della sua suggestione e della sovranità popolare, di vincere i referendum sulla pubblicità nei film, facendo capire che non esiste un pasto gratis (grande lezione del liberalismo) a una grande maggioranza di italiani, quando Scola e Fellini chiedevano per le loro opere dell'ingegno la guarentigia di Stato anche nel mercato, altro che lacrime. Mediaset è la nemica degli intellettuali, questo genere brillante ed estroverso di cittadini impegnati nella strenua difesa dei loro interessi e di nient'altro, è la matrice, la grande matrice di tutto nel più clamoroso, gigantesco conflitto di interessi che la storia ricordi.

Mediaset al Quirinale? Il peso di una azienda che fa parte di un panorama nazionale indelebile nella questione del destino del suo fondatore e padrone lo può disconoscere solo un babbeo. Nel mondo di Berlusconi Mediaset è il temperamento delle passioni, la continuità e il futuro, sempre più difficile da prefigurarsi, contro la caducità delle fortune politiche. Mafioso e ladro di polli alle prese con il fisco, ma tycoon, cioè kolossal della ricchezza diffusa, dell'intrapresa di successo, dell'immagine riformulata e di bel nuovo raccontata per milioni di persone tutte le sere che Dio manda in terra. A chi la vogliono raccontare, la storia del criminale comune, della legge uguale per tutti che castiga imparzialmente le devianze criminali.

C'è quel bastione, di tanto più importante e vivo delle creature fragili della parabola politica, è lì a fare da ultimo testimone. All'inizio di tutto ci fu un compromesso negato. Berlusconi in quanto Fininvest oggi Mediaset poteva accordarsi con la catena di comando sopravvissuta alla fine della vecchia democrazia repubblicana. Con i magistrati vogliosi di potere e riconoscimento, nell'ondata di sfondamento delle inchieste milanesi contro la corruzione dei partiti, poteva fare come Agnelli e Romiti, mettere nelle mani e dei preti e dei magistrati la versione di comodo del cartello imprenditoriale alle prese con l'estorsione repubblicana, e chissenefrega dei tesoretti all'estero e delle vere frodi fiscali, chissenefrega degli stracci umani che volano. Invece decise per quell'alzata di ingegno da ego ipertrofico, ma carica di generosità e di follia, la sovranità popolare che sfida il monopolio dei partiti, e oggi, vent'anni dopo, gliela vogliono finalmente fare pagare. Napolitano la vera storia d'Italia la conosce.

Ha il potere e la disponibilità di mezzi istituzionali per evitare che finisca nel fango dell'ipocrisia e della vendetta.

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