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"Partito piccolo e radicale". Bonaccini silura il Pd della Schlein

Il governatore dell'Emilia Romagna prende le distanze dal nuovo Pd targato Elly Schlein: "Un partito piccolo e radicale non serve"

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Salvate il soldato Elly. La guerriglia interna al Partito democratico sale di livello, giorno dopo giorno. Gli attacchi al veleno nei confronti di Schlein e soci si sommano agli addii prematuri di alcuni esponenti dem. L’eterna divisione tra riformisti e massimalisti si amplifica e la leadership della segretaria ne risente. Stefano Bonaccini, leader dell’area più riformista del partito, non si tira indietro e rilancia: “Un Pd piccolo e radicale non serve”.

La critica di Bonaccini

Il messaggio è diretto alla nuova pasionaria dem: “È essenziale che il Pd – spiega il governatore emiliano su Domani – recuperi rapidamente la propria vocazione maggioritaria”. L’obiettivo a lungo termine è quello di abbandonare le battaglie chiaramente minoritarie di Elly Schlein e tornare a parlare la lingua della sinistra riformista. “Abbiamo bisogno di un partito più grande ed espansivo che punti a tornare al governo, non di un partito più piccolo e radicale”.

Le cronache delle ultime ore, inutile nasconderlo, vanno in direzione diametralmente opposta. Una trentina di esponenti dem della Liguria, nella sola giornata di ieri, hanno deciso di lasciare il “nuovo corso” schleiniano per entrare in Azione, nel movimento di Carlo Calenda. La fuga di massa ha coinvolto nomi di un certo peso nell’orbita dem tra cui la consigliera più votata a Genova, Cristina Lodi, e il consigliere regionale Pippo Rossetti.

Le contraddizioni di Schlein

Un terremoto politico annunciato. La posizione massimalista di Schlein, a lungo andare, ha un unico effetto diretto: sfilacciare l’unità del Partito democratico e rilanciare le solite differenze storiche e culturali. Riformisti da una parte, massimalisti dall’altra. Grillini da una parte, anti-grillini dall’altra. Atlantisti e militaristi da una parte, pacifisti dall’altra. Il duplice cammino del nuovo Partito democratico viene esasperato dalle posizioni, sempre più paradossali e contraddittorie, della stessa Schlein. Prima la richiesta di rallentare il raggiungimento del 2 per centro del Pil per le spese militari e poi l’adesione al referendum contro il Jobs Act promosso dalla Cgil.

Una linea lontana anni luce dall’ala riformista dem interpretata dalle parole di Stefano Bonaccini. Sulla spesa militare il governatore emiliano prende le distanze da Schlein e soci: “L’Italia – spiega il presidente dell’Emilia Romagna – deve rispettare gli impegni presi in Europa”. Anche se la propensione al dialogo rimane:“Se la Germania propone di rendere i tempi meno stringenti – aggiusta il tiro Bonaccini – credo se ne possa discutere tranquillamente”. Stesso discorso per quanto riguarda il referendum anti Jobs Act: le due posizioni, Bonaccini da un lato e Schlein dall’latro, non convergono. “Preferisco una battaglia per il salario minimo legale – precisa Bonaccini – che non una retrospettiva sul Jobs Act”. Niente da fare.

La svolta radicale di Schlein, secondo la logica del “nessun nemico a sinistra”, viaggia su due binari: rincorrere il massimalismo pentastellato e abbandonare, una volta per tutte, l’ala riformista dem.

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