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«Il Pd mi ha scaricato nel tritacarne giustizia Non difendo più i pm»

«Il Pd mi ha scaricato nel tritacarne giustizia Non difendo più i pm»

Un comunista d'altri tempi, l'ex senatore Rocco Loreto. Da re delle preferenze bulgare in quel di Taranto a prima vittima vip del pm Henry John Woodcock. Oggi che si ritrova al centro di una vicenda giudiziaria allucinante, il preside eletto tre volte a Palazzo Madama maledice i tempi in cui parlava di un misero uno per cento di mele marce in magistratura. «Posso tranquillamente affermare che la percentuale è molto più alta, anche se la stragrande maggioranza dei giudici è composta da persone perbene. Rispetto a quei tempi antichi, quando difendevo le toghe senza se e senza ma, dico che la politica, e soprattutto il partito dei Ds, oggi Pd, deve scrollarsi di dosso la subalternità ai pm. So di cosa parlo. Quello che certi magistrati hanno combinato sulla mia pelle ha dell'incredibile».
Quando cominciano i suoi guai?
«La mattina del 4 giugno del 2001, dopo tre legislature in Parlamento, non essendo stato rieletto vengo sbattuto in galera su richiesta dell'allora carneade pm potentino Woodcock. Ebbene sì, sono stato il suo primo arrestato eccellente, il primo di una lunghissima serie di vip indagati o trascinati nelle sue inchieste. Le manette scattano per calunnia e violenza privata nei confronti di un suo collega magistrato della procura di Taranto. E qui occorre fare un passo indietro, e andare all'allora ministro della Giustizia, Piero Fassino».
Prego.
«L'8 settembre (in tutti i sensi) del 2000 porto un dossier di 130 pagine al ministro Fassino su alcune situazioni gravissime riscontrate nella procura di Taranto, lo consegno all'allora capo della sua segreteria particolare Morri. La consegna seguiva un'esplicita richiesta a mettere per iscritto quanto avevo esposto loro a voce, e l'obiettivo era quello di inviare quanto prima gli ispettori. La notizia del dossier circola presto, e quattro giorni dopo, casualmente, il pm che avevo preso di mira nel report, arresta il mio vicesindaco, il capo dell'ufficio tecnico, il segretario comunale e un ex assessore, in un'indagine sull'amministrazione che guidavo a Castellaneta. Passarono le settimane e dal ministero non filtravano notizie, così parlai con Loris D'Ambrosio, allora consigliere giuridico del ministro, che a malincuore mi disse: “Senatore, ho letto tutto. È una cosa molto grave ma col ministro abbiamo convenuto che non è il caso di mandare gli ispettori perché potrebbe sembrare un soccorso rosso”. Ribattei stizzito: “Non capisco ma mi adeguo. Però in quel dossier ho denunciato reati specifici...”. Al che D'Ambrosio mi disse che lo avrebbe mandato al Csm, al pg della Cassazione, e a Potenza, competente a indagare sui giudici di Taranto».
A Potenza, vuol dire Woodcock?
«Esatto. Col tempo verrò a sapere che Woodcock aveva aperto ben tre procedimenti su questo pm tarantino che stando alle mie accuse, tra l'altro, non si era fatto pagare o si era fatto sottopagare, in forte ritardo, alcuni lavori nella sua villa in campagna da un imprenditore. Feci una memoria integrativa e riassuntiva alla quale allegai anche tre registrazioni audio-video dove l'imprenditore mi raccontava com'erano andate le cose, i lavori da 60 milioni non pagati, eccetera. A un certo punto Woodcock convoca contestualmente l'imprenditore e un poliziotto stretto collaboratore del pm da me accusato, che arrivano insieme a Potenza. Nell'interrogatorio l'imprenditore fa retromarcia, corregge, precisa, dice che qualche soldo l'ha preso ma poca roba perché la colpa era sua che aveva abbandonato i lavori. Woodcock allora gli mostra un video, poi gli altri due, gli dà tempo di riflettere, l'interrogatorio viene sospeso, e quando riprende, riferisce che c'era accordo nella videoregistrazione sostenendo che in un'altra stanza si mettevamo d'accordo e in quella con le telecamere recitavano. Giura che gli incontri erano stati tre (come le tre cassette allegate dal senatore), e che sempre s'era svolto quel teatrino. Non sapeva, il tapino, che di registrazioni ne avevo fatte otto, e che dall'integrale dei filmati (che avevo tagliato per non coinvolgere persone di passaggio) risultava che eravamo rimasti sempre a tu per in una sola stanza. Bene. Di fronte a una prova del genere, il processo si doveva chiudere lì. E invece sono stato rinviato a giudizio, e ho pure rinunciato alla prescrizione perché voglio giustizia piena: ma il bello deve ancora arrivare».
Che altro c'è?
«Quando scopre di esser stato registrato a sua insaputa, l'imprenditore condannato per estorsione in un'altra vicenda, mi minaccia. E così si apre un nuovo procedimento su mia querela, che finisce sempre a Woodcock che chiede e ottiene la condanna dello stesso imprenditore a cui aveva creduto quando mi ha arrestato, con la motivazione che lui, l'imprenditore, aveva accettato di essere videoregistrato con l'accordo, però, che mai avrei potuto utilizzare i video. Una follia. Non solo. Lo steso Woodcock sarà il pm che indagherà sul pm che io avevo attaccato in quel famoso dossier. Benevolmente, col senno di poi, posso dire che se avesse tenuto a bada la sua voglia di arrestare il primo vip per concentrarsi di più sul collega che oggi è sotto processo a Taranto, sarebbe stato meglio per tutti».
Il processo al suo “nemico” pm a che punto è?
«Se prima procedeva spedito al ritmo di una udienza a settimana, avendo sentito 26 testimoni e acquisiti 15 verbali, adesso con due giudici trasferiti ad altra sede rischia di ricominciare daccapo con un altissimo rischio di prescrizione. Ed è una vergogna perché dal processo sono emerse cose pazzesche in quella procura, intercettazioni agghiaccianti. Ma qui la stampa è narcotizzata, nessuno dà conto di quanto accade in aula».
La morale di questa storia?
«Tornassi indietro rifarei tutto, ogni battaglia da sindaco e ogni battaglia da parlamentare, a cominciare da quella sull'autonomia dell'arma dei carabinieri e della guardia di finanza che mi portò a scontrarmi nientemeno con Giorgio Napolitano, fermamente contrario all'idea che carabinieri e finanzieri dovessero avere un capo proveniente dal loro interno. Certa magistratura mi ha distrutto la vita, ma non mollo.

La politica deve avere uno scatto d'orgoglio, e il partito a cui appartenevo, che mi ha subito mollato e a cui non sono più iscritto proprio per questa sua politica prona sui giudici, deve capire che bisogna guardare alla realtà delle cose, e lottare tutti insieme, da destra a sinistra, affinché le mele marce tornino a essere quell'un per cento di tanti anni fa».

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