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Il Pd scoppia sulle regole: fallisce il blitz anti Renzi

Epifani e Franceschini cercano di ostacolare il sindaco: sul segretario decidano i tesserati Poi la retromarcia: apriamo anche ai sostenitori. Tutto rinviato a dopo la sentenza sul Cav

Il Pd scoppia sulle regole: fallisce il blitz anti Renzi

Nel Pd finisce come con i pifferi di montagna, partirono per suonare e furono suonati. Partono lancia in resta, dopo alcune abili mosse a sorpresa per disorientare il nemico, Epifani e Franceschini, con dietro le spalle lo stratega Bersani e la benedizione di Palazzo Chigi. Obiettivo: passare con i cingoli sopra l'aspirante segretario Matteo Renzi e sbarazzarsene una volta per tutte, attraverso nuove regole capestro per impedirgli di concorrere alla leadership. Per far restare Epifani al Nazareno (con Bersani nella stanza di fronte a sorvegliare), e Enrico Letta a Palazzo Chigi finché non sarà tempo di ricandidarsi. Il piano si infrange però contro un imprevisto: quasi nessuno, neppure nella Direzione da loro nominata, è d'accordo. Confermando la battutaccia di uno sconfortato Massimo D'Alema fatta ad alcuni amici a proposito della dirigenza Pd: «Qui più che lo psicanalista ci vorrebbe l'accalappiacani». La Direzione si conclude dunque senza voto, con un rinvio al 31 luglio (giorno previsto per la sentenza Berlusconi).

Di buon mattino Epifani riunisce la segreteria e già lì si scontra con il renziano Lotti, perché gli annuncia che proporrà per il congresso la data del 15 dicembre (con la neve e le renne e l'albero da preparare, e soprattutto con Renzi nei guai perché deve sciogliere prima la riserva sulle comunali di Firenze) e però concederà che a votare per il segretario sia una platea meno ristretta dei soli iscritti (che ormai sono, se va bene, 400mila), e parla di «albo degli elettori». I congressi provinciali e regionali, però, si terranno prima delle candidature nazionali (in modo che, se Renzi ce la fa a diventare segretario, si ritrovi i quadri di partito contro). Tra quella riunione e la Direzione, convocata alle 14, la linea cambia: Epifani anticipa la data a novembre, ma sul resto chiude. In serata, intervenendo alla Festa dell'Unità, nuova retromarcia: «Voteranno - annuncia il segretario - gli iscritti e chi sottoscriverà una carta di sostegno al partito». Alfiere della linea dura resta Dario Franceschini: «Il segretario lo eleggano solo gli iscritti, le primarie aperte sceglieranno il candidato». Stefano Fassina approva ma si scatena il bailamme, sui social network l'inferno. «Franceschini è troppo spregiudicato, per l'elezione del segretario mi limiterei a far votare i dipendenti Pd e lo staff dei ministri», ironizza Roberto Giachetti. E la prodiana Zampa: «Ma se al Pd non si iscrive più nessuno...». Il renziano Angelo Rughetti suggerisce: «Per andare sul sicuro, meglio far votare solo chi era iscritto al Pci». L'ex bersaniano Matteo Ricci: «Una vergogna, pensano solo a conservare il loro potere. La nostra gente si rivolterà». Per il dalemiano Stefano Esposito sono «regole da matti».

Il blitz con cui si sperava di isolare Renzi (che in Direzione ha solo una manciata di supporter) fallisce: intervengono contro i candidati alla segreteria Pittella e Cuperlo, che avverte: «Per cambiare le regole serve un accordo larghissimo». Persino Rosy Bindi, avversaria acerrima di Renzi, si scaglia contro quello che un altro dirigente non renziano chiama «tentato golpe»: «Non si cambia lo statuto per sostenere il governo». Contrari anche i Turchi, i veltroniani, i prodiani. Renzi tace, mentre i suoi nemici rinculano: non si vota, tutto rinviato alla prossima volta. Ora parte il lavorio per recuperare il consenso di chi oggi ha fatto fallire il golpe anti Matteo. «Ma lo statuto si cambia in Assemblea nazionale, e con la maggioranza assoluta dei membri: non la avranno mai», sottolineano in molti.

E un renziano insinua: «Quanto reggerà l'asse anti Renzi? Siamo certi che Epifani e Bersani, piuttosto che mollare il partito a Renzi, non decideranno di mollare Letta, far cadere il governo e andare al voto anticipato?».

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