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Il Pdl indossa l'elmetto: "È in gioco la democrazia"

Pure l'ala più morbida del partito difende le parole del coordinatore ed evoca la piazza: bocciata la linea soft di chi non voleva irritare il Quirinale. Solo Cicchitto e Letta scettici

Il Pdl indossa l'elmetto: "È in gioco la democrazia"

RomaIl - Pdl indossa l'elmetto. Tutti sono pronti a tutto pur di salvare il leader. «Qui c'è in gioco la democrazia del Paese, non soltanto un esecutivo» è il refrain del Pdl. La sentenza della Cassazione è vista da tutti, falchi e colombe, come un'inaccettabile invasione di campo delle toghe. Per cui ora deve arrivare una soluzione politica, altrimenti salta tutto.

Le parole più ruvide sono quelle del coordinatore del Pdl, Sandro Bondi. Il quale dà fuoco alle polveri in una nota che infiamma la giornata: «O la politica è capace di trovare delle soluzioni capaci di ripristinare un normale equilibrio fra i poteri dello Stato e nello stesso rendere possibile l'agibilità politica del leader del maggior partito italiano o l'Italia rischia davvero una forma di guerra civile dagli esiti imprevedibili per tutti».

A difesa di Bondi, tutto il partito: dalla Santanchè («Non è stato affatto incendiario. La guerra civile in Italia è in atto da vent'anni») a Capezzone («Da Bondi un giusto, e perfino elementare, richiamo ai principi sacri della democrazia»), passando per Esposito («Da Bondi solo un'amara lettura della realtà»). Si evoca la piazza. E dire che c'era pure stato un estremo tentativo delle colombe per frenare la manifestazione di oggi. Ma è franato la notte scorsa. I più scettici sul corteo «Tutti con Silvio» di questa sera alle 18 sono stati l'ex capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto e Gianni Letta. Entrambi sostenitori della linea gommosa, tradotta nel «Dobbiamo stare in silenzio, tenere i toni bassi, non aizzare la piazza, dimostrarci responsabili e vedrete che in autunno, certo non subito, Napolitano potrebbe prendere in considerazione l'ipotesi della grazia». Una tesi priva di controprova ma che non ha trovato d'accordo la stragrande maggioranza del Pdl. Il partito ormai non si fida più e replica compatto: «Per mesi ci hanno fatto credere che la linea della responsabilità e della pacificazione avrebbe avuto tutt'altro impatto. La verità è che alcuni magistrati vanno avanti e sono andati avanti nel loro scopo: eliminarci. A prescindere da tutto. Per fare la pace bisogna essere in due e dall'altra parte hanno solo lavorato per ammazzarci tutti. Ora basta». È sull'«ora basta» che le cosiddette colombe si sono posate.

Velato lo scetticismo di Gaetano Quagliariello, rimasto in silenzio, e dell'altro ministro Maurizio Lupi. Di Alfano sono troppo fresche le lacrime di due giorni fa quando, davanti ai parlamentari a Montecitorio, ha offerto le dimissioni sue e di tutti i ministri nelle mani di Berlusconi per pensare che si mettesse di traverso davanti alla nuova linea del partito.
Anche Cicchitto si conforma e in una nota ammette: «Questo governo, oltre alla sua azione sul terreno economico e delle riforme istituzionali, implicava anche una pacificazione che attenuasse quello scontro frontale tra berlusconismo e antiberlusconismo fondato sull'uso politico della giustizia... Invocare un intervento pacificatore del presidente della Repubblica, nell'ambito dei suoi poteri istituzionali, quindi, non è una indebita pressione». E pure il capo dei senatori, Renato Schifani, avverte: «La nostra fortissima indignazione, ancora più ampia e profonda di quanto si poteva prevedere per la condanna a Berlusconi, non sfocerà in rabbia né in comportamenti non consoni alla nostra tradizione moderata. Crediamo seriamente e profondamente che egli abbia subito una grave ingiustizia e con lui i tanti milioni di italiani.

Una cosa è certa: non lasceremo mai solo Silvio Berlusconi».

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