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Plebiscito per la secessione: nove su dieci mollano l'Italia

Al referendum per il Veneto libero hanno votato 2,3 milioni di cittadini: i sì all'89%. Consultazione simbolica, ma i promotori annunciano le prime misure autonomiste

Plebiscito per la secessione: nove su dieci mollano l'Italia

E dopo aver navigato in internet, finalmente si nuotò tra le bollicine. «Indipendenza, indipendenza!» è lo slogan della vittoria che viene scandito da qualche centinaio di persone quando, poco dopo le 20 e 30, vengono diffusi i risultati delle votazioni. In alto i calici, dunque: che la festa, in piazza dei Signori, cominci. In una babele di dialetti ma, attenzione prego, tutti rigorosamente ed esclusivamente veneti.
D'altra parte se l'Universo intero li ha fatti rincontrare qualcosa di sicuro vorrà dire. Quindi? Quindi eccoli, appassionatamente riuniti, i «secessionisti» dell'Anno Domini 2014, i nuovi cittadini del nuovo Stato virtuale «Venetia». Ed ecco, nel tripudio della bandiere della Serenissima, il loro nuovo doge, l'ingegner Gianluca Busato, regista del referendum internettiano, nonché leader dell'organizzazione «Veneto Stato» e ideatore della piattaforma web plebiscito.eu tramite la quale, secondo la moda tanto cara ai grillini, è stato possibile esprimere il voto.
E i numeri diffusi ieri sera, per quanto possano contare, in una consultazione, checché se ne dica assolutamente simbolica, allineano sulla rete oltre due milioni di elettori dato che il referendum online per l'indipendenza del Veneto dall'Italia ha raccolto, scrutinato e conteggiato 2 milioni, 360mila e 235 voti, pari al 73 per cento del corpo elettorale regionale. E i sì, ebbene sì, sono stati 2 milioni, 102mila e 969, pari all'89 per cento, mentre i no 257.276 (10,9 per cento).
Che, traducendo dal veneto all'italiano, significano: Repubblica Veneta, libera, indipendente, federale e sovrana, insediamento del Consiglio dei Dieci delegati per l'indipendenza del Veneto e anche, massì, esordiamo subito come si conviene, una prima tassa autoctona. «Una tassa, urlano dal palco i vincitori-promotori del referendum, che il Veneto farà pagare a chi vorrà venire a visitare Venezia». La domanda che il referendum poneva ai potenziali elettori e che è rimasta online dal 16 marzo a ieri, primo giorno della nuova «Primavera veneta», era, d'altra parte, inequivocabile: «Vuoi tu che il Veneto diventi una Repubblica federale indipendente e sovrana?».
Come dire: una prova di secessione all'italiana che, pensate un po', ha suscitato l'interesse anche dei media di Stato russi e la Bbc in versione online. «Ghe sono tante cose da dir ma entreremo dopo nel dettaglio» tuona dal palco l'ingegnere-stratega Busato. «Ma - aggiunge e sottolinea - la cosa più importante da dire ora (questa la scriviamo in italiano, ndr) è che chi non riconosce questo processo sta compiendo un grave errore di sottovalutazione, non comprende, cioè, che la misura è colma, e che noi veneti siamo vittime di un regime dispotico, che io definisco “regno del male”, il quale ha creato una cappa anche di tipo informativo. Perché non si tratta affatto di una rivoluzione polenta e osei come certa stampa che si è ostinata a prenderci in giro, l'ha definita. Certo noi adesso non andremo in piazza a sfasciare vetrine e non ci saranno carri armati e barricate. Però attenzione a guardare la cosa con sufficienza. Nessuno, da adesso in poi , potrà negare la libertà di un popolo, altrimenti sì che ci potrebbero essere dei rischi perché i i risultati della consultazione online dimostrano che ci ha sostenuto tutto il Veneto e anche gran parte dell'Italia. È la prova che la rivoluzione digitale trionfa. Ed è anche la prova - conclude - che la sovranità, la legittimità del potere viene dal basso. Non confondiamo una nazione con una persona, semo tutti un cuor solo, semo tutti un solo popolo. Noi siamo gli eredi della Serenissima».
In buona sostanza, per dirla con uno slogan che oggi come oggi, dopo che l'ha usato un tizio che studiava da premier, è diventato sinonimo di pericolo: «State sereni. Anzi, Serenissimi».

Ci sarà un motivo, vien da pensare, mentre fendiamo le bandiere col Leone di San Marco, se questa piazza dei Signori una volta era detta piazza della Berlina, dove cioè veniva praticata la punizione della pubblica umiliazione chiamata appunto «berlina».

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