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La procura di Napoli ora vuole mettere il Cavaliere agli arresti

Le frasi contro i giudici al tribunale di Sorveglianza: l'ex premier potrebbe perdere l'affidamento ai servizi sociali

La procura di Napoli ora vuole mettere il Cavaliere agli arresti

Silvio Berlusconi come Renato Vallanzasca, spedito in cella per un reato da nulla? È questo lo scenario - solo apparentemente surreale - cui stanno lavorando i «duri» all'interno della magistratura. In particolare la Procura di Napoli, che dopo avere cercato finora invano di incastrare il Cavaliere, ora è convinta di avere in mano l'asso contro l'ex premier. E a passarlo ai pm napoletani è stato lo stesso Berlusconi, con le sue esternazioni dell'altro ieri nell'aula del processo Lavitola, dove si è permesso di definire la magistratura italiana come una categoria di «incontrollabili che hanno una impunità piena».

Oltraggio a un corpo dello Stato, questo il reato che la Procura di Napoli potrebbe contestare a Berlusconi: un reato di opinione introdotto sotto il fascismo, che di per sé non basterebbe a fare scattare le manette ai polsi dell'ex presidente del Consiglio. Ma i pm partenopei hanno avuto una idea: lunedì intendono trasmettere le trascrizioni dell'udienza, attraverso la Procura generale di Milano, al tribunale di Sorveglianza che nell'aprile scorso ha ammesso Berlusconi a scontare in affidamento ai servizi sociali la condanna ad un anno di carcere per frode fiscale. Nel provvedimento, il tribunale milanese ammoniva il condannato a non commettere altri reati e a contenere le sue dichiarazioni pubbliche nell'ambito del «rispetto delle istituzioni». Va detto che giovedì sera, quando i mass media hanno riportato la deposizione in aula a Napoli del Cavaliere, il tribunale di Sorveglianza non ha battuto ciglio, ritenendo che rientrassero in quell'ambito di critica - anche aspra - tutelata dalla Costituzione nei confronti di chiunque. Ma all'inerzia dei giudici milanesi hanno deciso di supplire i pubblici ministeri napoletani, partendo all'attacco e cercando di mettere i colleghi di Milano di fronte al fatto compiuto: Berlusconi ha violato le regole. Napoli potrebbe incriminare Berlusconi per oltraggio, o limitarsi a passare gli atti a Milano. Ma poco cambia.

E qui diventa singolare ma inevitabile il parallelo con quanto accaduto appena una settimana fa al famoso bandito Renato Vallanzasca, fermato per il furto di due mutande e rispedito immediatamente in cella a scontare l'ergastolo. I curriculum dei due sono difficilmente paragonabili, ma tecnicamente sono nella medesima posizione: sono entrambi condannati con sentenza definitiva, ammessi a godere di una misura alternativa al carcere (la semilibertà per il bel Renè, i servizi sociali per il Cav) ma tenuti sotto controllo costante dalla magistratura di Sorveglianza. Uno sgarro, e si torna dentro. E ancora più singolare è il fatto che sabato scorso a occuparsi di Vallanzasca è stata (essendo di turno festivo) il giudice Beatrice Crosti, lo stesso magistrato di Sorveglianza che si occupa di Berlusconi, e sul cui tavolo approderà la segnalazione proveniente da Napoli. La Crosti ha revocato immediatamente la semilibertà di Vallanzasca. Cosa farà con Berlusconi?

Di fatto, la mossa della Procura di Napoli inasprisce bruscamente lo scontro con Berlusconi in un momento assai delicato per l'ex presidente del Consiglio, che proprio ieri a Milano ha visto aprirsi il processo d'appello a suo carico per il caso Ruby. Dopo gli scontri frontali a ripetizione del processo di primo grado, il Cavaliere davanti ai giudici d'appello sta scegliendo la strada del basso profilo, fiducioso fino a prova contraria di trovarsi davanti a toghe non pregiudizialmente ostili. E nella sua esternazione davanti al tribunale di Napoli, Berlusconi era convinto di essersi mantenuto nei binari che già più di una volta gli erano stati indicati dalla magistratura di sorveglianza: libertà di critica, divieto di polemica individuale e tantopiù di insulto.

Parlare di magistratura «incontrollata e incontrollabile» per il Cavaliere voleva dire semplicemente prendere atto della situazione normativa italiana, peraltro strenuamente difesa dai giudici (che infatti sono insorti contro l'emendamento che puntava a renderli legalmente responsabili dei loro errori «per dolo e colpa»). Niente di più, anzi, molto di meno di quanto detto in passato senza conseguenze.

Invece lo scontro è riesploso, e il timore di Berlusconi è che possa avere conseguenze anche sull'esito del processo Ruby.

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