Cronache

Quella verità nascosta sulla morte di Moro: Cossiga sapeva già tutto

L'agente che ispezionò per primo la Renault 4 in via Caetani dimostra che l'allora ministro mentì sui tempi dell'esecuzione

Quella verità nascosta sulla morte di Moro: Cossiga sapeva già tutto

Oggi proviamo soltanto rabbia perché è troppo tardi: i due che sapevano tutto se ne sono andati in silenzio e per sempre: Cossiga e Andreotti. Il primo era anche un mio amico, ma sapevo che su Moro mentiva. Oggi ne abbiamo una prova. Lo avevo aggredito un paio di volte su questo tema, ma lui cambiava discorso. Andreotti era rimasto una sfinge. Sapeva di Moro, sapeva di Falcone. La vitiligine, diceva Cossiga: portava come prova del suo choc di fronte alla vista del cadavere di Aldo Moro in via Caetani, il fatto che il suo corpo - viso e braccia in particolare - si fosse coperto di macchie biancastre. Ho sempre pensato che quella reazione sproporzionata dimostrasse che lui, Cossiga, fosse sopraffatto più che dal dolore per una morte ampiamente annunciata, dalla traumatica sorpresa: non se l'aspettava, aveva informazioni sbagliate. Era sicuro (con Andreotti) di aver ottenuto la liberazione di Moro e invece si trovava di fronte il suo cadavere. Ma adesso ne impariamo una nuova e la impariamo da Vitantonio Raso che fu uno dei due antisabotatori che 35 anni fa, il 9 maggio del 1978, scoprirono il cadavere di Moro nella Renault rossa due ore prima di quanto la storia e i verbali abbiano tramandato. Lo racconta nel libro La bomba umana scritto con il giornalista Paolo Cucchiarelli dell'Ansa.

Ora sappiamo che Cossiga arrivò subito dopo il ritrovamento e che ben lungi dall'essere sconvolto, fu impassibile, freddo. Venne subito per constatare il ritrovamento del cadavere, salvo due ore dopo ripetere l'intera scena, in seguito alla telefonata ufficiale di Moretti. Ma quando la telefonata fu fatta, Moro era già stato ritrovato. E ancora sanguinava di ferite fresche. Dunque fu trovato pochi minuti dopo l'uccisione, o al massimo mezz'ora dopo. Eccoci dunque di fronte a una messa in scena: le ore non sono quelle e neanche le reazioni e i sentimenti sono quelli. C'è un prima sconosciuto e un dopo che fu creato soltanto per l'opinione pubblica e la stampa. Una messinscena. C'è dunque una controstoria, una storia vera che si sovrappone a quella di facciata e che si aggiunge alle tante false storie e depistaggi che accompagnano la vicenda, la madre di tutti i traumi della Repubblica, dei ricatti, delle falsità che inquinano la politica. Cossiga dunque mentì. Oggi abbiamo anche - oltre all'annunciata uscita del libro La bomba umana dell'agente Raso - la testimonianza a sostegno di questa novità, dell'ex ministro socialista Claudio Signorile, allora titolare dei Trasporti nel governo Craxi, il quale per puro caso era al Viminale per prendere un caffè con Cossiga - «e non un aperitivo» come ha voluto sottolineare per spostare indietro le lancette dell'orologio - il quale ricorda oggi che udì con Cossiga via radio il messaggio in cui si diceva che due agenti anti sabotatori stavano forzando una R4 sospetta in via Caetani, e poi che nel portabagagli della macchina era stato rinvenuto il cadavere «della nota personalità», vale a dire di Moro. Raso fornisce un'ulteriore informazione: le ferite mortali di Moro, ucciso con una mitraglietta Skorpion, sembravano recentissime. Raso se ne intendeva perché aveva visto le ferite mortali degli uomini della scorta di Moro in via Fani. Due ore dopo l'eccidio, il sangue era già secco. Nel caso di Moro, il sangue ancora sgorgava. E Cossiga, piombato sul posto con alcuni collaboratori del ministro degli Interni si comportava, ricorda Raso, come se fosse già al corrente di tutto e non fosse affatto sorpreso. E il trauma? E la vitiligine? La vitiligine era vera, intendiamoci. E di sicuro quella malattia colpì la sua pelle quel giorno e non prima, né dopo, ma il trauma doveva esserci stato in un momento ancora precedente, quello del sopralluogo segreto. Ma quando Cossiga aveva saputo? Moro fu eliminato proprio mentre era in corso a pochi metri dal luogo del ritrovamento una riunione convocata da Amintore Fanfani per accettare la richiesta dei sedicenti brigatisti rossi che chiedevano uno scambio: un «prigioniero di Stato» contro Moro. Era fatta. Così sembrava. Ma il regista vero dell'operazione Moro la pensava diversamente e prima che la Dc potesse annunciare la decisione di cedere alle richieste delle Br, fece condurre Moro probabilmente ancora vivo in via Caetani dove fu eliminato.

Queste rivelazioni riaprono, direi per fortuna, il caso Moro sul quale hanno indagato quattro processi e una Commissione parlamentare d'inchiesta, senza mai venire a capo della vera storia. Io presumo di aver capito un po' di più attraverso i lavori della Commissione Mitrokhin di cui sono stato presidente e di cui fu un animatore l'onorevole Enzo Fragalà, che poi fu assassinato. Si discuteva se le Br che rapirono e uccisero Moro fossero composte soltanto da pretesi rivoluzionari comunisti, o anche da altri elementi non italiani. La questione era se le Br fossero state «eterodirette». Ebbene, la Commissione Mitrokhin fu in grado di provare che le Br contenevano al proprio interno certamente elementi che erano sotto il controllo del Kgb sovietico e della Stasi tedesca orientale. Questa certezza fu raggiunta attraverso una rogatoria internazionale che si svolse presso la Procura generale di Budapest nel dicembre del 2005, quando durante una riunione cui parteciparono membri della Commissione il procuratore ci mostrò una grande valigia piena di documenti in cui, disse, c'erano tutte le prove dei legami fra terrorismo rosso e Kgb. In particolare fu fatto il nome del brigatista Antonio Savasta che per quanto ne so è scomparso dalla circolazione. Il giorno dopo a queste rivelazioni la Procura di Budapest ci comunicò con rammarico di non poterci consegnare la documentazione a causa dei trattati diplomatici che legano i Paesi dell'ex Patto di Varsavia con la Federazione Russa. Ma quel che accadde a Budapest non ce lo siamo sognato. Cossiga, dopo il ritrovamento del corpo di Moro, passò molto tempo andando in pellegrinaggio in tutte le carceri in cui si trovavano i brigatisti con cui ebbe lunghissimi colloqui. Da quel momento Cossiga impedì di fatto che qualcuno si azzardasse a negare il carattere puramente italiano dei «compagni che sbagliano» e i brigatisti uscirono quasi tutti di galera. Così Moro fu assassinato due volte. Andreotti face parte della Commissione Mitrokhin e si comportò di fatto come un sabotatore di tutte le ipotesi che potessero ricondurre alle responsabilità sovietiche.

La vera storia è ancora tutta da scrivere e la rivelazione di questo testimone riapre uno spazio sigillato per decenni. Perché Cossiga mentì? Perché già sapeva? Perché credeva di aver salvato Moro e invece fu beffato e addirittura si ammalò per il trauma?

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