Politica

Matteo Renzi, il ragazzo che imita il Cav

Siamo più vivi di quanto non si pensi, se è vero che il ragazzaccio di Firenze è popolare e amatocome il Berlusconi del 1994

Matteo Renzi, il ragazzo che imita il Cav

Il direttore di questo giornale ha un piede in galera per un articolo scritto da un altro, il capofamiglia dei Berlusconi ha (così parrebbe) un piede fuori della politica, il partito arrangiato che aveva vinto le elezioni ultime è senza piedi e senza mani, senza cuore e senza testa, i giudici crociati spadroneggiano da Napoli al Guatemala, l'unico popolo sovrano è quello laureato alla Bocconi, il motto delle prossime elezioni è: «praevalebunt», il diritto di morire dilaga con appelli ai malati terminali in lotta, i filistei «de sinistra» spuntano da ogni video e da ogni onda radio, da ogni medium, il lettore dev'essere ben tramortito, e anch'io non mi sento tanto bene. Quindi stamane mi sono vestito di tutto punto, e con la cravatta bene annodata scrivo queste istruzioni per vivere felici, cioè in regime di malinconia controllata, il tramonto di Berlusconia.

La prima regola è accettare con stoicismo il fatto di avere poca o punta speranza nel nostro avvenire. Lo dicono i sondaggi elettorali ma ancora di più lo dice una certa sensibilità da senso comune. Avvenire zero. Ma il passato, seconda regola, il passato che è il vero tesoro di ogni storia, quello è tutto dalla nostra parte, ci dovrebbe inorgoglire con stile, senza arroganza, nella dolorosa consapevolezza che anche l'Italia rappresentata dall'assalto sgangherato della destra liberale e democratico-populista è stata tra gli elementi della generale dissoluzione. Insomma, ce la siamo un po' voluta, a forza di rigettare compromessi come fossero veleni. Però, nonostante i rutti di Bossi, le disavventure e gli errori del Caro Leader, i cosiddetti tradimenti democristiani o semplicemente pacchiani dei soci e sodali d'antan, e certi spettacoli sordidi che non piacciono a nessuno, la deriva in cui al momento l'imbarcazione di Berlusconia ondeggia, e fa molta acqua, è un disperdersi ma non un umiliarsi, è un dolce naufragare in questo mare di incorreggibilità spumeggiante che si chiama Italia. Chiunque si sia provato a cambiare le cose dal di fuori del sistema di potere costituito, per il bene o per il male, dopo un periodo che assomiglia a un ciclo di vent'anni, ha dovuto battere in ritirata. Qui da noi è sempre stato così. Il Principe nuovo se la prende in quel posto fin dai tempi di Machiavelli. Ma a pensarci bene l'ingovernabilità e l'immutabilità del carattere nazionale in politica non riguarda solo gli outsider. Anche un De Gasperi, per dire, così diverso da Mussolini, da Craxi, da Fanfani, da Berlusconi, e così insider nel passaggio dal fascismo alla Liberazione alla Guerra fredda, fu impallinato non appena cercò di modificare l'architettura istituzionale con una legge elettorale maggioritaria, nel 1953, la famigerata legge truffa.

Restare in mutande dispiace. Si preferirebbe orchestrare in frac le musiche dell'ultimo ponte sul Titanic. Ma siamo più vivi di quanto non si pensi, se è vero che il candidato sfidante del partito avversario, il ragazzaccio di Firenze che vuole rottamare la nomenclatura politica avversa, con il suo corteggio di bassa politica mediatico-giudiziaria, è popolare e amato in questi boschi come lo era il Berlusconi del 1994, e alla fine un po' lo imita americaneggiando. Il Paese che non ci sta a farsi definitivamente normalizzare prenderà chissà quali strade, protesterà vivacemente contro il ballo in maschera della corruzione e della casta affidandosi alle maschere della crisi, altri imitatori vaffanculistici di Berlusconi, ma alla fine non scomparirà, si farà vivo in forme oggi ancora imprevedibili. Se si pensa, oltre tutto, che tra i tecnici di Monti, il successore, e i presunti socialdemocratici di Bersani, chiunque alla fine governi, al posto del gruppazzo eletto nel 1998 e dissellato nel novembre scorso, non ha grandi idee che non siano quelle comuni dell'Europa e del mondo dei mercati senza frontiere e del libero commercio di capitali, lavoro e persone. La rottura del 1994 ha messo capo a nulla, in politica e in comando, perché a ben vedere si è poi realizzato quasi tutto dell'idea di uno Stato minimo condizionato dal libero mercato, e non sembra che di questi tempi, con queste banche e questa crisi, la sinistra sia in grado di fare la rivoluzione totalitaria in nome dello Stato e del partito e della classe: se vorranno cavarsela dovranno gridare meno tasse per tutti e tentare di mettere ordine nel grande disordine portato dalla realtà globale e dalla destra di opposizione andata non si sa come al governo.

La traversata nel deserto sarà lunga, ma ci saranno oasi piene d'acqua rigogliosa, e i più vanitosi potranno anche abbronzarsi.

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