Politica

Il ricatto di Napolitano: o il governo resiste o lascio

RomaNo, non si vota, toglietevelo dalla testa: «Gli italiani vogliono risposte ai loro scottanti problemi, non nuove elezioni anticipate dall'esito più che dubbio». Del resto. sostiene Giorgio Napolitano, anche dopo la sentenza sul Porcellum il Parlamento non è delegittimato: le motivazioni della Consulta «non potranno contraddire il principio della continuità dello Stato». E non c'è stato nessun un golpe. Il Cavaliere può chiedere la revisione del processo, la sua condanna è stata «un trauma», ma non «evocare oscuri e immaginari disegni». Piuttosto, dia una mano a varare le riforme e a far uscire il Paese dalla crisi e dalla paralisi. Bisogna sbrigarsi, dice il presidente. Manca il lavoro, l'Italia sta per esplodere, «c'è il rischio di forti tensioni sociali», e io non resterò qui per sempre. Anzi. «Ho già indicato i limiti entro cui potevo impegnarmi a svolgere il mandato e non mancherò di rendere nota ad ogni mia ulteriore valutazione della sostenibilità, in termini istituzionali e personali, dall'incarico».
Come dire: se non mi muovete, stavolta me ne vado davvero. È una frase buttata lì, alla fine della cerimonia degli auguri di Natale, ma in realtà quella delle dimissioni anticipate sembra una minaccia postdatata al 2015, l'orizzonte temporale del Letta 2. «L'Italia deve essere amministrata nel così impegnativo 2014 che sta per cominciare». Però attenzione, il giovane Enrico deve darsi una mossa, «la stabilità non è un valore se non si traduce in un'azione di governo adeguata». Guai «all'inerzia e all'inefficienza». Palazzo Chigi ha fatto «degli sforzi» ma «vanno verificati i risultati» e comunque «occorrono ancora forti stimoli». Sarà un caso, sarà un modo di pungolare Letta, però Napolitano a questo punto non dimentica di citare «le nuove leadership». A Matteo Renzi dà ragione pure sulla questione del «perimetro» della discussione sulle riforme. Quello governativo non basta, «si cerchino intese anche con tutte le opposizioni». A Silvio Berlusconi, che «ha avuto un ruolo di primo piano», rivolge «uno schietto appello» perché la rottura politica «non comporti l'abbandono del disegno di riforme costituzionali».
Che elenca nel dettaglio: «Il superamento del bicameralismo paritario, lo snellimento del Parlamento, la semplificazione del processo legislativo, la revisione del Titolo V», più una legge elettorale bipolarista. A questo programma ambizioso, si va aggiunto il taglio al finanziamento pubblico. Non si possono dare tanti soldi ai partiti e non prevedere «misure di sostegno per i disoccupati» e «risposte al disagio». La gente non capirebbe. Se poi ci mettiamo anche corruzione e sprechi...
Quanto a lui, nessuno sconfinamento, nessuna monarchia costituzionale. «Le sorti del governo poggiano solo sulle sue forze, sono legate al rapporto di fiducia con la sua maggioranza. È nel pieno rispetto della sua autonoma responsabilità che il capo dello Stato interviene in spirito di cooperazione e con contributi di riflessione». Ma dopo i tentativi di Monti e del primo Letta una cosa è chiara, le larghe intese in Italia non funzionano, «non sono percorribili senza tensioni distruttive». Buon Natale.
Ma da Forza Italia arrivano solo giudizi negativi. «Non è super partes - dice Renato Brunetta -. Supporta il governo travalicando la Costituzione, le sue parole sulle riforme sono irrispettose».

«Non ci sono le condizioni per riforme condivise - aggiunge Paolo Romani - E se la legge elettorale non è cambiata è per colpa del Pd, non nostra».

Commenti