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La Roma segreta sotto Roma è come «romanzo criminale»

La Roma segreta sotto Roma è come «romanzo criminale»

RomaL'ultimo ingresso alla Roma segreta è un piazzale sterrato tra gli alberi in via degli Angeli, a pochi metri dalle arcate dell'acquedotto imperiale, il Claudio, e di quello Rinascimentale, il Felice, che costeggiano la vicina via Tuscolana. L'ennesimo capitolo del romanzo, quasi sempre criminale, nascosto alla luce del sole e affondato nelle viscere della Città eterna, l'ha scoperto la Guardia di finanza due giorni fa, seguendo a naso l'odore pungente della marijuana. Noi ci arriviamo, invece, guidati da una toponomastica a dir poco suggestiva: prima via di Porta Furba, poi via degli Oppii. Una grande porta in ferro si apre su un tratto di galleria. Dentro, «normali» uffici di un'azienda che fino a 3 giorni fa vendeva funghi coltivati. I funghi, amici dell'umidità, hanno nascosto spesso le storie al buio della pancia di Roma. Cavità antichissime e moderne divenute fungaie che nascondono cadaveri, business improbabili, merci rubate, covi di bande. Memorie dimenticate nel sottosuolo misterioso della capitale.
Queste alte volte, scavate nel tufo e rinforzate in muratura, risalgono a ottant'anni fa. Sono gallerie destinate alla metropolitana di Roma voluta da Benito Mussolini, che qui però non sarebbe mai nata. Gallerie demaniali che nessuno conosce, cunicoli inghiottiti sotto Roma, che si incrociano e viaggiano ovunque, la cui mappa si è perduta. «La fungaia ha chiuso. Dice che c'era erba, droga», sospira dal finestrino dell'auto un cliente deluso uscendo dal cancello. I due ragazzi delle fiamme gialle che presidiano l'ingresso se la ridono: «Da stamattina ne sono venuti tanti a cercare champignon, non sapevano che qui c'era ben altro». A vestire i panni di Virgilio è un tenente colonnello, Stefano Corsi. Ci guida lui attraverso i pochi metri del primo tunnel, che sbuca quasi subito in un canyon a cielo aperto, una serra di plastica malconcia sotto cui riposano vecchi mobili e una Mercedes cabriolet rugginosa e abbandonata. In fondo, la grande bocca murata di una galleria in cui si apre una piccola porta. «Qui finiva la fungaia», spiega l'ufficiale, prima di aprire la strada verso un posto che ufficialmente nemmeno esisteva più. Dentro il buio è assoluto, l'odore di umido e muffa si confonde con quello della marijuana che arriva fin qui. Si accendono le luci, pallidi tubi al neon sulle pareti, insieme a una enorme ventola, e il tunnel prende forma. Non se ne vede la fine, solo un piccolo cerchio nero in fondo, dove il buco ripiomba nel buio che lo fa sembrare un occhio, spalancato e spaventato.
Lo spazio qui è immenso. Dal pavimento alla volta saranno sei sette metri, forse più, ma il livello del suolo si alza man mano che avanziamo, forse per l'accumulo di decenni di detriti, e per terra sono sparsi migliaia di dischetti in plastica. Una primordiale ma efficace forma di allarme. A ogni passo, suonano come nacchere sotto i piedi. E chi lavorava in fondo alla galleria non poteva non sentirne il baccano. C'è una palpebra, nell'occhio. Una tenda nera, un vero sipario in velluto, che chiude il tunnel un centinaio di metri dopo l'entrata. A destra e a sinistra, tra riviste e attrezzatura chimica depositata su un tavolo improvvisato, si aprono piccoli archi, depositi e forse gallerie di servizio, ormai coperti quasi interamente dal terreno. A fine anni '30 qui c'era un cantiere, operai con picconi e macchine al lavoro, poi i venti di guerra imposero lo stop a scavi e progetti. Le gallerie che correvano verso il nascente Eur servirono a salvare i treni della Roma-Lido dai bombardamenti. Quelle più vicine alla stazione Termini, invece, offrirono protezione come rifugi antiaerei alla popolazione, per poi diventare 15 anni dopo parte della linea B della metropolitana «moderna». Altre ebbero destini meno nobili, ma spesso ugualmente suggestivi. Diventarono garage, fungaie, nascondigli per disperati, dormitori per balordi, ovili. O finirono semplicemente dimenticate, note solo a chi le frequentava e le sfruttava per affari o traffici oscuri, trasformandole nei luoghi più reconditi di una città che a certe latitudini era già nascosta, periferica e sepolta, come quest'angolo sotterraneo infilato tra Tuscolana e Casilina, sconosciuto fino a due giorni fa persino al catasto nazionale della cavità artificiali. Eppure qui, ancora adesso, a 80 anni dai lavori degli operai del duce, fervevano attività. L'ultima, celata da una parete murata, ma apribile con cerniere nascoste ad arte, era appunto la produzione - industriale - di marijuana. Centinaia di lampade ai vapori di sodio accese riportano un sole artificiale fin quaggiù, inzuppando la volta curva di una luce che questo luogo sprofondato nella terra non aveva probabilmente mai visto prima. E dopo le serre, ancora un muro, questa volta solido e vero, blocca il passaggio nella galleria, che oltre i mattoni continua a correre chissà dove. Il mistero, chiusa la pagina di cronaca nera insieme al tunnel finito sotto sequestro, potrebbe restare tale a lungo. Intanto pochi metri più su un convoglio corre sui binari della Roma-Napoli. E quando le pareti del tunnel tremano, basta chiudere gli occhi per sentire, tra i vapori dell'erba, passare un fantasma.

Il treno della metropolitana, in ritardo di 80 anni.

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