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Ruanda e Kenya meglio di noi? Se le statistiche danno i numeri

Ogni giorno spunta un dato catastrofistico contro l'Italia: secondo gli esperti siamo ignoranti, infelici e picchiamo le donne. Il solo primato? Troppe tasse

Ruanda e Kenya meglio di noi? Se le statistiche danno i numeri

Prima o poi doveva succedere. Abbiamo passato decenni a fare discorsi da autobus, lamentandoci del solito magna-magna e di un Paese marcio in cui non c'è più religione né rispetto per gli anziani. Abbiamo perfino tifato contro la Nazionale con la scusa di Calciopoli. Ce la siamo tirata e una mattina ci siamo svegliati nel Terzo mondo.

Lo dicono gli istituti di ricerca, mica la vicina di casa grillina che sul pianerottolo vi ferma all'urlo di «signora mia, che tempi». Dunque, se è questione di scienza statistica, sarà vero. L'Italia non è più il Bel Paese di Stoppani, e perfino il formaggino dovrà cambiare nome. Troppo catastrofico il quadro emerso dagli indicatori. Ogni giorno una bocciatura, la nostra inadeguatezza è planetaria. L'Italia è l'inferno in terra, solo che noi non ce ne eravamo accorti, distratti dal clima mite e dalla dieta mediterranea...
Martedì il bollettino medico ha relegato l'Italia morente all'ultimo posto su 24 Paesi dell'Ocse in quanto a competenze alfabetiche e al penultimo per abilità matematiche, in spregio a Dante, Manzoni e Galileo. Lunedì invece eravamo scivolati all'82esimo posto nella classifica delle infrastrutture, dietro agli avveniristici ponti del Kenya, dove ingegneri di ogni nazionalità accorrono per progettare e venire puntualmente rapiti. Prima era stata la volta del World Economic Forum, per cui perfino Barbados è più competitiva dell'Italia, forse per merito delle copie di dischi vendute da Rihanna. Senza dimenticare la graduatoria delle pari opportunità, che vede le donne vietnamite più valorizzate di quelle italiane.

Riassumendo, il panorama che ci circonda dovrebbe essere più o meno questo: da Bolzano a Crotone, branchi di compatrioti allo stato brado si aggirano a dorso di mulo, dato che l'unica strada percorribile è la Via Crucis e gli unici convogli in orario sono i trenini di Capodanno. Gli indigeni italioti non leggono nemmeno il bugiardino dell'Aspirina, non sanno le tabelline, picchiano le mogli (che si ostinano a sostenere che due per tre fa sei in barba all'Ocse) e pure i professori dei figli, dato che insegnare in Italia è più avvilente che farlo in Cina, noto Bengodi della libertà.

Il disastro è a tutto tondo, dall'istruzione all'economia, mancano solo la lebbra e le cavallette. Ultimi in Europa nella spesa per la cultura, umiliati da Islanda, Estonia e Lettonia, Paesi che vantano vulcani e betulle più che necropoli o incunaboli; ultimi in Europa per laureati nonostante i nostri atenei siano ben più selettivi di certi diplomifici dell'Est. Siamo un crogiuolo di illetterati e bifolchi, leader soltanto nella classifica della pressione fiscale e dei telefonini pro capite. Telefonini che non ci rendono comunque più tecnologici, dato che perfino il Montenegro è più digitalizzato. I cellulari ci serviranno piuttosto per fare l'estrema chiamata alla nostra banca quando ci chiuderanno i conti correnti. Perché - con la lebbra e le cavallette - arriverà pure il crac finanziario. Siamo all'83esimo posto per libertà economica, 50 gradini più in basso del liberalissimo Botswana, dove si possono reinvestire i proventi insanguinati dei diamanti senza troppi lacciuoli burocratici. E siamo anche 73esimi per facilità di business: peggio del Ruanda, dove fare impresa è semplice come organizzare un genocidio.

Insomma, vista così l'Italia è spacciata. Se perfino nella graduatoria della felicità ci facciamo battere dai messicani, gente che ogni mattina si sveglia e sa che dovrà correre più veloce dei proiettili dei narcos, allora siamo destinati all'estinzione. A meno che i freddi numeri non dicano la verità. O almeno che non la dicano tutta. Perché così come è provinciale l'atteggiamento arcitaliano di chi mangia solo pizza, preferisce Totti a Maradona e Teramo a Parigi, è altrettanto miope sputare nel proprio piatto senza ragionare. Un esempio: ieri il Financial Times ha definito le banche italiane le peggiori d'Europa, mentre il Fondo Monetario le ha promosse con lode. E dunque? Dunque occorre equilibrio. Nessuno nega le storture del nostro Paese (più corrotto della Namibia, eh), ma da qui all'indugiare con soddisfazione nel fango, godendo della negatività cosmica e di ogni paragone sfavorevole, ce ne passa. Siamo messi male, siamo a pezzi, ma non siamo il Terzo mondo. Le graduatorie dipendono da tanti criteri, spesso discutibili. Quello che non si discute è un patrimonio di storia, cultura e qualità di vita che non è classificabile, che vale più dei punti di Pil e che nemmeno le cavallette disfattiste spazzeranno via.

P.s. Secondo la classifica della libertà di stampa, è più pericoloso scrivere un articolo come questo in Italia piuttosto che in Niger. I giornalisti in Niger se la passano alla grande: in tre anni hanno raccontato un golpe e un attentato al presidente, peccato che i loro articoli li abbiano letti quattro zebre, dato che l'analfabetismo è dell'80%.

E se non vedete che classifiche del genere sono pura assurdità, siete più ciechi dei cechi.

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