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S'accende una sigaretta e dà fuoco all'ospedale

S'accende una sigaretta e dà fuoco all'ospedale

GenovaUna sigaretta accesa dove non si poteva e non si doveva, un attimo di distrazione (o disperazione?)e l'ossigeno della bombola di Marco Tessier trasforma il suo letto d'ospedale in una trappola mortale. Il fuoco divampa in pochi istanti, la compagna Carla Belloni, seduta accanto a lui per assisterlo, si accorge subito di quanto sta accadendo e prova in tutti in modi ad intervenire. «Ho visto le fiamme avvolgere mio marito, ho provato a tirare via le coperte ma non sono riuscita a spegnere l'incendio. Ho provato a sollevarlo e portarlo fuori dalla stanza ma non ce l'ho fatta», racconta. Nonostante anche lei sia avvolta dalle fiamme, corre fuori dalla stanza e urla disperata: accorrono Simona e Barbara, due infermiere.
Una spegne il fuoco che avvolge gli abiti della donna con una coperta; l'altra entra nella stanza ma ormai per il paziente non c'è più nulla da fare. La donna può solo sbarrare la porta evitando che l'incendio si propaghi alle altre stanze dove a quell'ora, le 3 di notte, altri 25 pazienti stanno dormendo. Il dramma si è consumato, l'altra notte, nel reparto di oncologia del dipartimento di medicina interna dell'ospedale San Martino di Genova.
La vittima, 63 anni, era ricoverata per un tumore all'esofago in fase terminale. Anche per questo da subito si sono rincorse voci secondo cui l'uomo avrebbe appiccato volontariamente l'incendio per farla finita, ma la versione è stata smentita da Mauro Bersini, primario del reparto grandi ustionati del Villa Scassi di Genova, dove la moglie di Tessier è stata ricoverata con ustioni sul 30% per cento del corpo. La moglie della vittima sostiene che si sia trattato di una fatalità «Era sotto shock ma vigile e ha raccontato cosa è accaduto- spiega il medico». Adesso saranno le inchieste, una aperta dai vertici dell'ospedale l'altra dai vigili del fuoco, a cercare di accertare l'esatta dinamica. Di quella che avrebbe potuto essere una tragedia di ben più vaste proporzioni.
Un simile incendio divampato in piena notte in un reparto occupato prevalentemente da malati gravi avrebbe potuto avere effetti devastanti. Solo il pronto intervento delle due infermiere ha fatto sì che i danni fossero «limitati».
Gli altri 25 pazienti del reparto sono tutti stati trasferiti, alcuni di loro non hanno nemmeno compreso il rischio che hanno corso. Tecnicamente Simona e Barbara hanno seguito le procedure standard in caso di incendio: intervenire su Carla Belloni, spegnere le fiamme che l'avrebbero altrimenti uccisa e sbarrare la porta della camera in cui si era innescato il rogo creando una barriera alle fiamme in attesa dell'arrivo della squadra anti incendio dell'ospedale e dei vigili del fuoco. Ma passare da una procedura meramente teorica ad un'emergenza drammaticamente reale, mantenendo lucidità e sangue freddo, non è la stessa cosa.
Di fatto il loro intervento ha evitato una strage. «Altro che malasanità, hanno dimostrato quanto sia professionale e coraggioso chi lavora nella sanità pubblica», raccontano colleghi e camici bianchi. Eroine discrete Simona e Barbara, che il giorno dopo preferiscono rimanere nell'ombra e non rilasciare dichiarazioni.

Per quanto hanno fatto incassano i complimenti dell'assessore regionale alla sanità Claudio Montaldo oltre a quelli dei vertici ospedalieri.

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