Politica

"Saro", il cattocomunista gay che punta tutto sull'antimafia

Si professa paladino della lotta alla criminalità: in squadra con lui la Borsellino e l’ex questore

La «diversità» è sempre stata la sua arma vincente. Lui, sindaco omosessuale dichiarato, in una città come Gela, che non è New York e non è mica facile. Lui, attivista antimafia sfegatato, che nella stessa Gela, città dilaniata non solo da Cosa nostra ma pure dalla «stidda» locale, non è facile neppure. Ma Rosario Crocetta, anzi «il nostro Saro» come da ieri esulta su Facebook il popolo dei suoi fan, è l'uomo delle contraddizioni: cattolico ma gay, comunista doc (i primi passi li ha mossi nella Fgci, poi Pci, Rifondazione, Comunisti italiani) ma tanto di centro da allearsi, per conquistare la poltrona di governatore, con l'Udc, sì, il partito del vituperato governo, in Sicilia, di Totò Cuffaro.
È la teatralità, il segreto di Rosario Crocetta, eurodeputato Pd e da ieri nuovo governatore di Sicilia. L'ha imparata quando frequentava le scuole dai salesiani. E un istrione è rimasto, fa parte della sua natura. Come all'inizio di questa campagna elettorale, quando a chi a sinistra storceva il muso sulla sua fede rossa, anche perché a proporlo come governatore era stato l'Udc: «Vogliono qualcuno più a sinistra di me? Allora scelgano Renato Curcio». O come quando, in un impeto tra il mistico e l'infantilismo dei bimbi che fanno i giuramenti: se vinco niente più sesso, mi sposo con la Regione.
Se manterrà il fioretto non si sa, e in fondo è affar suo. Ma quel che è certo è che vista la gatta da pelare che si è cercata, di tempo non ne avrà moltissimo. Sessantuno anni, democratico persino nell'essere poliglotta - parla inglese e francese, ma anche arabo - perito chimico con la passione per la poesia (nel 1987 ha pubblicato una raccolta) - ha debuttato in politica, dopo gli inizi all'Eni, nel 1996, quando ha varcato da assessore alla Cultura il portone di quel palazzo comunale della sua Gela di cui qualche anno dopo sarebbe diventato sindaco, con percentuali bulgare. Se lo ricordano ancora, nella cittadina nissena, il suo arrivo da assessore e futuro sindaco, incarico che gli piace tanto da aver usato come slogan, nella campagna per diventare governatore, «il sindaco di tutti i siciliani». Il buongiorno, allora, fu una scritta, vergata a penna su un foglio di carta bianco: «Qui non si accettano raccomandazioni». Erano, in nuce, gli albori. Gli albori di quella carriera a colpi di antimafia che dal cuore dell'isola, Gela, polo industriale dai mille problemi, lo ha catapultato in Europa (è eurodeputato eletto nel Pd) e che adesso lo ha riportato di nuovo in Sicilia, su una poltrona, quella di governatore, che negli ultimi anni non è che abbia portato bene: vedi Cuffaro, dimissionario per i suoi guai con la giustizia; vedi Raffaele Lombardo, che è stato costretto a mollare anzitempo per lo stesso motivo.
Ma a Crocetta le indagini antimafia fanno un baffo. Al contrario, è l'antimafia il suo pane quotidiano: dalla fondazione, a Gela, della prima associazione antiracket, al licenziamento della moglie del boss che lavorava al Comune, da sindaco. Primo cittadino di Gela lo è stato due volte, dal 2003 al 2007. È a quella prima campagna elettorale che risale un episodio tornato a galla durante questa corsa a governatore: i suoi rapporti con un personaggio in odor di mafia, poi pentito. Finirono in un'indagine di polizia su alcune intimidazioni subite da Crocetta, quei rapporti. Ma l'inchiesta stabilì che si trattava di rapporti occasionali, privati. Il questore che firmò quel rapporto, Antonio Malafarina, ora è nel listino di Crocetta. E per rinforzo di antimafia nella sua giunta ci sarà Lucia Borsellino, la figlia del magistrato ucciso nel '92, futuro assessore alla sanità. Crocetta l'ha detto, nei comizi: basta presidenti inquisiti per mafia in Sicilia.

Con lui, assicura, questo non accadrà.
MTC

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