Cronache

Se l'esodo del papà separato diventa il disastro perfetto

Il traffico scorre fino al bivio Jonio-Tirreno. Poi è ingorgo, senza chance di trovare da dormire. Nel '45 Cristo si fermò a Eboli. Nell'era del web a Sicignano, 30 km più a Sud

Se l'esodo del papà separato diventa il disastro perfetto

Il padre separato è una profezia che si autoavvera. Sai che soffrirai, forse te la cerchi, forse soffri anche se non te la cerchi. Nel caso che vi racconto il padre separato se l'è proprio andata a cercare la sofferenza, sperimentando come la solitudine di un qualsiasi weekend estivo può sposarsi con cosa? Con un'autostrada. Per regalarmi il Disastro Perfetto.

Questa storia breve e disastrosa parte da Sicignano degli Alburni. O meglio, dallo svincolo di Sicignano, dove l'automobilista che va a Sud (nel caso di specie, all'estremo Sud, ci sono da riportare due figli a Roma il prima possibile da terra calabra) ha a disposizione due alternative: o esce a Sicignano, e prosegue sulla Basentana in direzione Potenza, e poi Taranto. Oppure prosegue in direzione Reggio Calabria. E questa storia comincia a Sicignano perché è esattamente qui che, negli anni Duemila, Cristo si è fermato. Ha fatto qualche chilometro più a Meridione di dove l'aveva lasciato Carlo Levi, a Eboli.

Se prendete la cartina, infatti, trovate che Sicignano è a circa una trentina di chilometri a sud di Eboli. Per i più fortunati, paese dove si arrostiscono splendide scamorze sui forni a legna, per i più invece solo il cartello metà verde-autostrada e metà blu-superstrada che ti pone davanti a un bivio. Ma qui ovviamente è la metafora a essere interessante, perché la distanza che separa Eboli da Sicignano è il tragitto breve e incespicato che lo sviluppo italiano è stato in grado di compiere dal tempo dell'esilio di Levi a quello dell'iPhone, almeno da queste parti, almeno su questa strada che non finirà mai di stupire il buon senso. Pochi chilometri ha fatto il progresso, davvero pochi, anche se da Eboli a Sicignano la Salerno-Reggio Calabria, SA-RC per i nostalgici delle sigle cittadine sulle targhe, da un paio di anni fa viaggiare comodamente sulle tre corsie. Ma si tratta pur sempre dell'autostrada infinitamente provvisoria, della striscia d'asfalto più subappaltata dell'universo, del crogiuolo dei nostri peggiori pregiudizi di meridionali sulla lentezza burocratico-affaristica del Meridione. E così via, e così sia.

Il padre separato alla ricerca del Disastro Perfetto decide di impostare il suo navigatore dell'anima con grande coerenza, e dunque stabilisco di partire da Roma alle sei di pomeriggio del venerdì.

Ci sono le partenze intelligenti e ci sono le partenze dementi, il profeta del Disastro ovviamente sceglie la seconda ipotesi, e la fila terribile dell'uscita del weekend, che comincia sulla tangenziale e termina al casello della Roma-Napoli, viene utilizzata per memorizzare ogni millimetro di panorama, ogni piazzola di sosta, e un paio di autogrill presi d'assalto da pendolari assetati e isterici. E poi Valmontone, Cassino, Caianello, Caserta nord giri a destra e già arrivare a Salerno quasi indenne dall'assalto del traffico, e infilare comodamente la corsia del Telepass è motivo di gioia. Siamo alle 22 passate, e così segui le indicazioni per Reggio con la leggerezza di chi ritiene che il pericolo sia alle spalle.

Mai essere ottimisti: da Salerno, andando verso Sud, il venerdì sera ha deciso che decine di migliaia di automobilisti, camionisti, vacanzieri, sfaccendati, lavoratori, turnisti, si siano dati appuntamento per strada con l'unico scopo di dimostrare che le tre corsie sono un velo di Maya, l'illusione distribuita al povero viaggiatore, uno specchietto per tordi. Così, condividendo uno spazio improvvisamente ristretto con una famiglia di gitanti alla tua destra (con finestrino posteriore fornito di applique antisole con paperella) e un coatto alla tua sinistra, col compare di sedile che espone il polpaccio dall'autoveicolo, capita che arrivi fino a Eboli e, sempre meno lentamente, ti approssimi a Sicignano.

Il Bivio Fatidico.

La porta scorrevole dove devi scegliere se andare a sbarcare sullo Jonio pugliese o il Tirreno Calabro, e non potrai tornare indietro, almeno questa sera (nel frattempo è quasi mezzanotte: ho percorso 80 chilometri in due ore).

Mi fermo per la prima sosta, a Sala Consilina, un nome che, assieme a Roncobilaccio, fa la semantica della geografia autostradale. E appena addento un improbabile panino fattoria e appoggio la birra sul cassetto della spazzatura all'uscita di un autogrill stracolmo della meglio gioventù calabrese da importo e campana d'asporto, d'improvviso squilla il telefono. È Andrea Di Consoli, il mio scrittore preferito: «Uaggliò, dove sei?» «A Sala Consilina. Stanotte devo arrivare a Tropea e non so ancora dove dormire» «Ma dimmi tu, sono da me a Rotonda. Fermati…» «Grazie ma…» «… sono affacciato sopra casa. Cumpà, una poesia» «… ecco, invece io sono affacciato sulle colonnine del self-service. Andrea grazie ma…» e in questo ma sta la seconda porta scorrevole, il secondo bivio, il primo dopo Sicignano. Devo confezionare il Disastro Perfetto, e allora la risposta continua così: «… ma devo fare ancora trecento chilometri, fammi arrivare a Tropea, un buco per riposare lo trovo, a Vibo Valentia o dopo. Eccheccazzo, mica sarà tutto pieno».

La seconda porta scorrevole si chiude, Sala Consilina è alle spalle e la voce di Andrea si perde tra una galleria e l'altra. E in mezzo alle gallerie capisco che il confezionamento del Disastro Perfetto sta diventando un capolavoro e una manina sacra mi sta facendo «ciao ciao» alle spalle, perché Lui si è fermato a Sicignano.

La Salerno-Reggio Calabria, la SARC per i frequentanti, l'autostrada a tre corsie, è il racconto di ciò che sta dietro.

Davanti invece, man mano che ci si arrampica per la Sila e senti aria umida di montagna notturna (siamo dopo l'una di notte, per collocarvi il fatto), la SARC diventa improvvisamente a una corsia, che solo raramente ti fa assaporare il brivido della doppietta, per pochi metri, per poi ricalarti nella strettoia di paletti e insegne che ti spiegano che da Lagonegro in poi potresti marciare massimo a sessanta chilometri, e non ci sono storie.

Potresti, ho scritto, perché il Disastro Perfetto prevede che io incontri decine di tir sonnolenti che arrancano sulla salita silana e comincio a sentirmi come il David dell'inizio di Duel, il povero rappresentante che ha il solo torto di sorpassare un'autocisterna per vivere un incubo in lungometraggio.

Nel mio caso non si tratta di un'autocisterna ma di un camion merci che, in macabra ironia, porta sopra il pianale la seguenta scritta illuminata: La Vendetta 2.
Mister camionista di La Vendetta 2 decide che io debba passare un'ora abbondante, a 30 all'ora, a osservare la scritta luminosa e implorare con i fari che si sposti di qualche metro per farmi passare, perché davanti a lui, davanti a noi, c'è ormai un vuoto di veicoli lungo chilometri e chilometri. A differenza di David, quando riesco a superarlo infilandomi come un falco futurista a destra e sfiorando il guardarail della corsia di emergenza, non riuscirà a inseguirmi, ma solo perché decido di non fare più soste fino a Lamezia Terme ovest. Vibo Valentia, e la sua coroncina di b&b all'uscita dello svincolo, è ormai a uno sputo, e io corro veloce verso il cuscino su cui addormentare (finora) otto ore abbondanti di viaggio.

E qui a Vibo Valentia arriva la terza porta scorrevole, davanti alla porta dell'unico b&b dove riesco a scovare tracce di umanità vigile: «Buonasera!» «Seraaaa…» «Vorrei una camera», e tra l'altro questo b&b, arredato tipo saloon, è talmente kitsch da farmi tanta simpatia. La simpatia finisce quando arriva un No secco, scandito, accompagnato da un'altra risposta: «C'è un evento, siamo tutti pieni, è inutile che chiedi». Sconforto. Silenzio. Faccia implorante: «Prova a Brattirò».

E che ti devo dire, proviamo a Brattirò. E che ve lo dico a fare, alle tre meno venti di notte Brattirò brulica di fantasmi, non di albergatori. E siccome il navigatore ha deciso di farmi girare per campagne, l'unica cosa da fare è attaccarsi su Internet e digitare «alberghi Tropea». Dopo dieci tentativi a vuoto, finalmente risponde l'hotel, diciamo, X. Il dialogo è più lungo ma lo restringo così: «Buonasera» «Seraaaaa….» «Avete una camera libera» «Aspetti» Aspetto «Sì. Abbiamo una tripla» «Bene. Ma io sono solo» «Eh, ma io ho solo una tripla libera» «Ho capito, ma può farmela pagare come singola, no?» «No. La paga come tripla, se la vuole» «Scusi» «Mi dica» «Sono le tre passate...» «Signore, siamo in alta stagione, o paga la tripla o non le do la camera».

Clic. La marcia prosegue fino a Capo Vaticano, a notte fonda deserto di strutture alberghiere che abbiano la luce accesa o un citofono funzionante. Giro, e finalmente lo trovo: un hotel con la luce accesa e il cancello aperto. «Buonasera!!!» (i punti esclamativi aumentano assieme all'intonazione speranzosa) «Seraaaaa» La domanda è sempre la stessa e anche il No. Niente camere. «Gentilmente, mi potrebbe indicare un altro posto, lei lo saprà, vero?» «Non so come aiutarla…» «… ma come…» «Le faccio i miei migliori auguri». Dice proprio così, il concierge. La macchina bolle e la testa pure, il rumore del mare aumenta il sarcasmo del gremlin del Disastro Perfetto, fino a che non trovo un cartello che indica un resort talassoeccetera superstellato.

Sono felice, sicuro che lì, a qualsiasi prezzo ormai, un posto lo trovo: «Pronto. Buonaseeeerrrraa!!!!» «Buonasera». Già l'intonazione è benaugurante. «Avete una camera libera?» «Può richiamare tra dieci minuti?» «Mi perdoni. Sono le quattro e mezza, e lei vuole che io richiami tra dieci minuti?» «Ho il computer rotto» Ammutolisco.

E prendo la decisione, alla quarta porta scorrevole. Raggiungo il resort talassoeccetera superstellato e citofono. «Mi faccia entrare». E c'è il signor Mario, madrelingua tedesco di Colonia che però mi pare calabrese e, in effetti, parla con accento calabrese. «Ho controllato, non abbiamo camere» «Se lei non mi trova un posto per dormire mi stendo qui, sul suo bancone» «Aspetti». Mario ha capito che non scherzo. E si mette a chiamare i compari d'albergo. Compari Mimmo e Antonio nisba, compare Turi sì e dice che ha una camera (siamo alle cinque passate, intanto).

Arriva un pickup, che mi pare ormai come il cocchio di Cenerentola, lo seguirei in capo al mondo se sapessi che alla fine troverò un cuscino. Mi sistemano in un bungalow che, sono certo, il personale notturno usa per riposarsi. Ma va bene così, tre ore scarse di riposo mi chiamano e io rispondo. Meglio che al Burj Al Arab di Dubai o al Town House di Milano. Le tre ore hanno otto stelle.

E poi, ecco, poi c'è la colazione. Fresco come una rosa - prima che mi comunichino il conto dei 180 minuti di sonno - mi presento alla reception. «Buongiorno!» «Giornoooo» «Dove si fa colazione?» «Perché, lei alloggia qui?».

Al viaggio di ritorno, capoverso del Disastro Perfetto, a Sicignano mi sono fermato, all'inizio delle tre corsie, e ho baciato terra.

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