Politica

Se l'orrore ha il volto della mamma

Per la legge è una feroce assassina, la peggiore di tutte le assassine, capace di trucidare a coltellate le sue tre creature. Ma io non ho cuore di raccontarla così. Infierisca chi se la sente. Vista (...)

(...) con gli occhi della pietà, Edlira Dobrushi, 37 anni, è solo una madre sciagurata e sconvolta. Fulminata dalla disperazione. Più della giusta pena, avrà bisogno di cure serie e di molta misericordia. Sempre che persino la misericordia possa ormai qualcosa, sul suo animo perso di mamma sconfitta.
Flash di cronaca: ore 6.30 di una domenica mattina, prima domenica di Quaresima. Nell'appartamento della decorosa palazzina al quartiere Chiuso, periferia di Lecco, proprio sotto il Resegone delle fantasie manzoniane, l'universo impazzisce. Una giovane donna albanese esce sul pianerottolo e suona i campanelli dei vicini. Il primo ad aprire, già sveglio per le strane urla avvertite oltre le pareti di casa, rimane di pietra: la coinquilina è coperta di sangue, straparla, biascica parole appena comprensibili. «Aiutatemi, loro non ci sono più, sono disperata...».
La disperazione: è la vera assassina di questa storia tremenda. O davvero possiamo pensare che una mamma arrivi a uccidere le sue bambine solo perché bestiale e malvagia? O davvero possiamo procedere ineffabili con la sola logica stringente dei codici?
Flash di cronaca: il vicino chiama 118 e carabinieri. Quando arrivano, nell'appartamento della donna si ritrovano a contemplare l'orrore assoluto. Composte in qualche modo sul letto matrimoniale ci sono Simona, 13 anni, Casey, 10 anni, e Sindey, 3 anni, le tre bellissime figlie di Edlira, una mamma che le ha sempre amate, accudite, accompagnate, questo fino a quando dentro casa non ha preso domicilio l'insolente disperazione. Ci sono due coltelli da cucina insanguinati. Diranno le prime perizie che le tre creature sono morte in momenti diversi, ciascuna nel proprio letto: le due più piccole nel sonno, la più grande verosimilmente dopo un'inutile difesa. La stessa mamma presenta i segni della colluttazione, oltre che i classici tagli ai polsi di chi poi abbia cercato la stessa fine, per andarsene via con loro, via da questa insopportabile disperazione...
Sangue, sangue, sangue. Ancora sangue in questa Italia scossa dai delitti d'ogni genere. Raccontano i vicini: «Era una brava donna. Teneva alle sue figlie. Però ultimamente i problemi erano molto seri». Mi racconta don Adriano, il parroco di Sant'Andrea: «Questa non è una storia di disadattati. Il grande problema emerso recentemente era la separazione dal marito. Avevano deciso a settembre. La vita era diventata molto difficile, per lei».
Flash di cronaca. Mentre la portano all'ospedale, Edlira farfuglia parole confuse. Dice che le ha uccise perché non era più pensabile continuare così. Che non vedeva più futuro, per loro. Lei, che soltanto il 3 marzo aveva scritto su Facebook, dove esibiva orgogliosa le foto dei suoi angeli, parole di bellissima tenerezza: «Le mie figlie sono tutta la mia forza». Purtroppo con il marito Bashkim, 45 anni, non funzionava più. Erano in Italia dal 2001, lui operaio in una ditta metalmeccanica della zona. Da settembre, dopo la rottura, era andato a vivere con un fratello. Proprio venerdì sera era partito in macchina per tornare in Albania, città di Kukes, verso il Kosovo, per spiegare alle due famiglie i motivi del matrimonio fallito. Lì lo raggiungono le autorità per avvertirlo della tragedia...
I risvolti di una storia qualunque. Mi racconta ancora don Adriano: «A Natale ero entrato in quella casa per la benedizione: anche se lei era agnostica, aveva accettato volentieri. Era una donna aperta e socievole. Le sue ragazzine frequentavano le nostre scuole: la più grande in terza media, la mezzana in quinta elementare, per la piccola iniziava l'asilo. Avevamo scambiato due parole, mi aveva confessato la fatica di mandare avanti la casa. Ma esprimeva dignità e decoro. Era una donna forte, che lottava. Ad un certo punto ci aveva chiesto aiuto: tramite la Caritas parrocchiale, le avevamo trovato un lavoro da badante qui vicino e le passavamo pacchi di viveri. Due settimane fa, poi, l'ho vista all'oratorio: aveva portato la seconda figlia al catechismo. Di nuovo avevamo scambiato qualche parola. Inutile che lo dica: non aveva manifestato il minimo segno di resa e di depressione. Purtroppo, la vera sofferenza cova dentro, dove è difficile arrivare. Come comunità non possiamo dire di avvertire rammarico, per qualcosa che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto. Abbiamo cercato di aiutare e di ascoltare, ma quando la disperazione esplode, tutto finisce fuori controllo».
Flash di cronaca. Lei se la caverà, le ferite non sono gravissime. La tengono sotto stretta osservazione all'ospedale di Lecco, perché il tumulto sconvolgente di una notte nera può riesplodere in qualunque momento. Gli inquirenti l'arrestano per omicidio. Atti dovuti. Atti che nemmeno le interessano più...
Ragionandoci sopra. Potremmo dire che anche questo dramma familiare è effetto della crisi. Potremmo dire che è tutta colpa della nostra indifferenza. Potremmo dire cioè le solite cose banali, scontate, conformiste che diciamo davanti a fatti più grandi di noi, che diciamo per esorcizzare la paura e allontanare il male dalla nostra tranquillità. Ammonisce il parroco: «È facile condannare. Ma il rischio peggiore, di questi tempi, è un altro: abituarci».

Forse l'unica cosa che davvero può ancora servire, davanti a una madre ridotta così, è il silenzio della compassione.

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