Economia

Senza privatizzazioni la Capitale fallisca pure

Il regalo di Renzi per salvare Roma: 570 milioni di euro a Marino. Ma la terapia giusta è un'altra: si chiama fallimento

Senza privatizzazioni la Capitale fallisca pure

Detroit, la capitale storica dell'auto, è fallita, mentre per Roma capitale il governo Letta ha stabilito una gentile erogazione di 600 milioni, che il neo premier Renzi ha ritirato perché c'era l'ostruzionismo e non voleva porre la fiducia sul decreto, cominciando con una figuraccia. Ma ora Renzi non ha bisogno di regalarle 570 milioni (e subito, non a rate come Letta) del contribuente italiano. Se è davvero un innovatore dovrebbe stabilire che Roma capitale può fallire. Esiste una legge del 1993, trasfusa con qualche modifica nel testo unico della finanza locale del 2000 (governo Amato), che stabilisce che i comuni in stato pre fallimentare, come quello di Roma, il cui debito è di 800 milioni, devono essere commissariati, con una procedura simile a quella del fallimento del codice civile. Questo viene gestito da un Commissario, che riceve un eventuale contributo straordinario dallo Stato per attenuare la durezza del risanamento. I Comuni di Reggio Calabria e di Alessandria sono stati commissariati, dopo che la corte dei Conti li aveva invitati a proporre un risanamento plausibile, onde evitare la dichiarazione di dissesto e la nomina del Commissario. Poiché questi comuni, allora di centrodestra, hanno risposto con piani poco plausibili, la corte dei Conti ha dichiarato il dissesto.
Per Roma, invece, dal 2008, per rimediare ai disastri finanziari delle giunte Veltroni (Pd), è stato nominato un commissario che aiuta il sindaco nel risanamento, ma gli lascia tutti i poteri di gestione ordinaria. Alemanno (Pdl) non è riuscito a risanare il bilancio ed è stato eletto come sindaco Marino, del Pd, che è riuscito a strappare al governo-amico di Letta la promessa di 600 milioni, per continuare nel precedente andazzo, a cui ha aggiunto nuovi show e nuovi sprechi. Renzi ora, per evitare uno scippo agli italiani, dovrebbe lasciare che si applichi a Roma la procedura adottata per Alessandria, simile a quella di Detroit. Se all'ingiunzione della corte dei Conti di presentare un piano di risanamento per evitare il dissesto Marino risponde con un piano inconsistente, il Comune verrà commissariato. Ma Roma ha i mezzi finanziari per pagare gli 800 milioni di debiti accumulati in passato, vendendo beni, e Marino può evitare di fallire come Detroit, ad esempio, vendendo il 30% di Acea, la società dell'energia elettrica e dell'acqua di cui possiede il 51%. Il 30% di Acea, alle quotazioni attuali, vale 600 milioni. Chi ne acquistasse il pacchetto, ottenendo di far parte della maggioranza, potrebbe anche pagare qualcosa di più. Roma così incasserebbe 600 milioni, o qualcosa di più, e rimarrebbe in Acea con il 20%.
Ovviamente però il piano di risanamento per essere plausibile dovrebbe contenere anche misure strutturali. Sul Wall Street Journal si legge che la società comunale di trasporto Atac e quella di raccolta dei rifiuti hanno un assenteismo del 19% e che un passeggero su 4 non paga il biglietto. Io aggiungo, per esperienza, che sugli autobus non ci sono, se non in rarissimi casi, le macchinette per i biglietti. E questi sono spesso introvabili dai giornalai e nelle edicole. Non ci sono macchinette dei biglietti alle fermate, sicché è faticoso anche il reperimento dei biglietti, mentre gli scioperi dei servizi pubblici sono frequentissimi. E poiché le strade di Roma sono intasate da auto parcheggiate in modo illegittimo, senza che i vigili le controllino, il traffico è ingorgato. La città di Roma affitta 43mila alloggi ricavandone una media di 50 euro. Il Comune e le sue società hanno un eccesso di personale, anche a confronto con le altre maggiori città italiane. A Detroit hanno dovuto spegnere l'illuminazione pubblica per fare economia. A Roma basterebbe un po' di disciplina e di maggiore impegno. Ma il fatto che lo Stato sovvenzioni i Comuni, induce alla pigrizia. E ciò vale per Roma adesso. Ma vale anche per lo scandalo dei debiti pregressi di 70 miliardi degli enti locali e della sanità, che Renzi vorrebbe addossare al debito pubblico, senza curarsi di turare la falla che li genera.

Per farlo, il rimedio è evidente: si chiama terapia Detroit.

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