Politica

Serve un fronte anti banche e anti euro

O ci rassegniamo alla dittatura finanziaria che sta distruggendo l'economia reale o riscattiamo la sovranità monetaria, legislativa, giuridica, nazionale

Serve un fronte anti banche e anti euro

Abbiamo 60 giorni per fare una scelta epocale. Siamo di fronte a un bivio: o ci rassegniamo alla dittatura finanziaria che sta distruggendo l'economia reale riducendo la persona da depositaria di un valore intrinseco a semplice strumento di produzione e consumo di materialità, o riscattiamo la sovranità monetaria, legislativa, giuridica, nazionale facendo prevalere il nostro inalienabile diritto alla vita, alla dignità e alla libertà. Sono questi i contenuti che sostanziano l'essere pro o contro Monti. Quanta ipocrisia nelle dichiarazioni dei politici che si sono avvicendati al Quirinale dopo lo scioglimento anticipato delle Camere tessendo le lodi del governo Monti. Ripetono all'unisono che ci avrebbe salvato dal baratro e che grazie a lui avremmo scongiurato di fare la fine della Grecia.

Eppure la realtà è che proprio nell'ultimo anno è raddoppiato il numero degli italiani che soffrono la fame diventando 6,2 milioni coloro che nell'arco delle 48 ore non possono consumare un pasto sufficiente ad alimentarsi adeguatamente; 47mila famiglie sono state costrette ad abbandonare la propria casa perché impossibilitate a pagare il mutuo; 240mila imprese sono fallite perché paradossalmente creditrici in un contesto dove il principale debitore insolvente è lo Stato; circa il 50% della forza lavoro è composto da disoccupati, inoccupati, cassintegrati ed esodati; 8 giovani su 10 tra coloro che lavorano sono precari. Monti sta perpetrando il crimine di trasformare uno Stato ricco in una popolazione povera, imprese creditrici in imprenditori falliti. Nonostante il maggior gettito fiscale grazie al più alto livello di tassazione al mondo e al regime di polizia tributaria che sta condannando a morte le imprese e le famiglie, il debito pubblico è aumentato di 153 miliardi e il Pil è calato del 2,4 per cento. Tutto ciò non perché Monti è un incapace ma perché sta deliberatamente perpetrando il crimine di distruggere l'economia reale per offrirla in pasto alla speculazione finanziaria globalizzata. Gli 878.000 miliardi di dollari di titoli tossici creati dalle banche d'affari per inverarsi devono essere riciclati, come avviene con il denaro sporco della mafia, possedendo beni reali che, dato l'esorbitante ammontare pari a 12 volte il Pil mondiale, necessita del controllo dei governi.

Quando il 16 novembre 2011 Monti giurò sulla Costituzione di servire l'interesse dell'Italia, giurò il falso perché quel giorno era ancora nel direttivo di Goldman Sachs, di Moody's, del Gruppo Bilderberg e della Commissione trilaterale, i poteri forti dietro ai quali si cela la speculazione finanziaria. In parallelo la partitocrazia che ha svenduto l'Italia alla dittatura finanziaria, ha commissariato il Parlamento e svuotato di sostanza la democrazia, invoca «più Europa», ovvero un unico governo dell'Economia e della Finanza. Ebbene i dati che concernono il reddito pro-capite, l'occupazione, le esportazioni e i pagamenti evidenziano che gli italiani stavano meglio con la lira fino al 2001 rispetto a oggi. La schiera di quanti affermano che l'Italia è il Paese che più di altri avrebbe da guadagnare dall'uscita dall'euro, cresce giorno dopo giorno annoverando il Premio Nobel dell'Economia Paul Krugman e insigni economisti. Eppure i difensori dell'eurocrazia e della dittatura finanziaria scatenano un terrorismo psicologico facendo credere agli italiani che il ripristino dell'emissione diretta della moneta da parte dello Stato si tradurrebbe in una catastrofe nazionale e gli italiani si ridurrebbero in miseria, scenario che invece corrisponde sempre più alla realtà in cui ci sta facendo sprofondare Monti.

Ecco perché alle Politiche dobbiamo dire «No» a Monti, «No» all'euro, «No» a chi mette al centro la moneta anziché la persona, «No» a chi privilegia le banche anziché le imprese e le famiglie, «No» a chi deifica i mercati anziché perseguire il bene comune.
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