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Si sbriciola il Grande centro che sognava di guidare l'Italia

Tra feste separate e minacce di scissione ormai Udc e Scelta civica sono ai ferri corti. E intanto l'ex premier Monti punta i piedi: "Patto di coalizione o lasciamo il governo"

Si sbriciola il Grande centro che sognava di guidare l'Italia

Roma - No, il Grande Centro no. Per favore, pietà. Non costringeteci a utilizzare l'eufemismo del ragionier Fantozzi durante il dibattito sulla Corazzata Potemkin. Ci impegneremo a non dichiarare solennemente che «è una cag. pazzesca» solo a patto che quella pizza di film fatto girare centinaia di volte da Casini non venga sottoposto all'ennesima visione degli italiani. Per rispetto delle persone e della loro intelligenza, anche qualora essa venga presunta della stessa consistenza del «Grande Centro». Appunto, nulla.

È l'idea più slabbrata e stantia che la politica conserva nell'armadietto della nonna. Come quei biscotti alla naftalina tirati fuori nelle serate di paranoia, quando la tivù è rotta, la corrente andata via, la famiglia langue attorno a un tavolo spoglio e a un frigorifero vuoto. Quando non si ha più nemmeno voglia dell'ultima rivincita a carte e ci si guarda negli occhi languidi e mesti, fino a che la zia spudoratamente finge rianimazione, apre il cassettino con aria furba e ammicca: «Un Grande Centro?». Ma chi lo vuole? Chi ha ancora la forza di parlarne, chi il coraggio?

Succede a Chianciano, festa dell'Udc neo-divorziato da Scelta civica (che difatti si tormenta a Caorle, 446 chilometri più in su), e che incredibilmente si dichiara già pronto a nuovi abbracci, altri abboccamenti, al «grande progetto». Sì, certo. Eccome: il Grande Centro, «che non ci vede protagonisti solitari, ma il lievito per una cosa più grande. Il nostro destino è di essere protagonisti di una grande idea che si afferma. Grande la sfida e grande il destino». E «grande» pure il centro (stima generosa: 4 per cento). Ma grande, grandissimo soprattutto Pierfurby Casini, bentornato.

Incurante che alla prima riunione organizzativa del mattino pare mancasse persino Lorenzo Cesa (il segretario); indifferente all'ala del partito che si dice già essersi riunita attorno a Mario Tassone, e del tutto refrattaria all'ennesima avventura di neutrini in corsa sotto il Gran Sasso dell'irrilevanza. Eppure, con devozione degna del Cern, Casini sperimenta ancora la scissione di masse considerevoli (Pdl e Pd), rafforzate da altre appena staccatesi (Monti), per effetto della forza attrattiva di buchi neri o nuclei privi di materia che siano (Udc). Prospettiva nondimeno affascinante per la scienza, ma che pure nel passato non ha sortito - pura casualità - gli esiti attesi. Impressionante la serie di tentativi consegnati alla storia. Dalla cosiddetta «provetta Ccd» ('94) al «buttiglione Ccd-Cdu» ('96). Dalla «Costituente democratica» all'Udr (con inspiegabile espulsione dello stesso Casini, '97-98). Dal «Ccd-Cdu-Udeur» ai reagenti «Ccd-Cdu-Democrazia europea» (2001). Riapertura dei cantieri con Mastella (2005 e poi di nuovo nel 2007: «In un anno io e Casini ricostruiremo il Grande centro»), quindi l'arrivo del più collaudato distillato chimico buono per tutte le stagioni, il Rutelli ('09). Ancora, nel maggio 2010: l'annuncio che turba il mondo scientifico: «Non è un'operazione di marketing, Pd e Pdl sono finiti» (Casini). Pezzotta: «Nulla sarà come prima». Due anni di incomprensibili cautele e, aprile 2012, l'arrivo di menti Fini e la dissoluzione dell'Udc nel Partito della Nazione. L'orizzonte non è esaurito, si arriva alla scommessa più grande: dissolversi tra i Monti. Ma, incredibilmente, fallisce anche la dissolvenza. Tanto che Monti ricatta: «Patto di coalizione o usciamo dalla maggioranza». Così ora si torna al «Partito popolare». «Non c'è tempo da perdere, abbiamo le idee chiare».

Crediateci o no, sempre Casini.

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