Politica

Una società (quasi) segreta sonda l'opinione pubblica

Napoleone Bonaparte, imperatore che teneva in grande considerazione l'opinione pubblica, forniva ai gazzettieri dati falsi sulla consistenza numerica delle sue truppe in modo da impressionare le nazioni nemiche. John Swinton, redattore capo del New York Times che dell'opinione pubblica se ne infischiava, alla fine di un banchetto in suo onore offerto nel 1880 dall'American press association, confessò: «Che follia fare un brindisi alla stampa indipendente! Ciascuno, qui presente questa sera, sa che la stampa indipendente non esiste. Lo sapete voi e lo so io. Vengo pagato 250 dollari alla settimana per tenere le mie vere opinioni al di fuori del giornale per cui lavoro. Altri fra di noi ricevono la stessa somma per un lavoro simile. Se autorizzassi la pubblicazione di un'opinione sincera in un numero qualunque del mio giornale, perderei l'impiego in meno di 24 ore. La funzione di un giornalista è di distruggere la verità, di mentire radicalmente». Entrambi, Napoleone e Swinton, facevano lo stesso mestiere: informavano allo scopo di disinformare l'opinione pubblica.
Ma come si forma l'opinione pubblica? C'è una scienza, tutta italiana, che lo studia. È una scienza quasi iniziatica fin dal nome: si chiama demodoxalogia, da demo (popolo), doxa (opinione) e logos (discorso). Sicuramente iniziatica nel numero: la Società italiana di demodoxalogia (Sidd) conta appena 24 componenti. I loro nomi non sono segreti, però nessuno li conosce, perché gli interessati non ci tengono a divulgarli. L'unico che circola è quello del fondatore e presidente, Giulio D'Orazio, un giornalista nato a Roma nel 1934 e oggi residente ad Albano Laziale, che negli anni Cinquanta frequentava i maestri della demodoxalogia.
E poi c'è lui, Francesco Bergamo, 45 anni, veneziano, sposato con una farmacista, una figlia di 10 anni, che oltre al nome è obbligato a metterci anche la faccia, perché fra i 24 eletti è il direttore responsabile dell'agenzia Informatore Economico-Sociale, il notiziario ufficiale della Sidd. Faccia trasparente, per nulla torva, come si addice a chi è nato dal maestro Ausonio Bergamo, diplomato in musica gregoriana che è stato per una vita l'organista ufficiale della diocesi di San Marco. Per il volto della Sidd, uno dei 1.200 cervelloni italiani appartenenti a quel 2 per cento della popolazione dotato di un quoziente d'intelligenza superiore, la demodoxalogia è un po' più di un hobby intellettuale e un po' meno di una professione. Infatti lavora nello staff di segreteria della Veritas Spa, la multiutility che gestisce risorse idriche, energia e igiene ambientale nella sua città. Ma è anche giornalista embedded dai forti legami con le Forze armate, in particolare con la Marina militare («ho sposato la figlia di un ammiraglio»), e in questa veste è stato ammesso al seguito delle missioni di pace italiane in Libano e in Kosovo.
Però c'è poco da fare: Sidd ha una nefasta assonanza con le sigle dei servizi segreti, dal vecchio Sisde all'attuale Dis, così come «opinione pubblica» sembra un'espressione coniata su misura per ricordare O.P., acronimo invece di Osservatore Politico, la rivista e l'agenzia di stampa dirette da Mino Pecorelli. «Mi risulta, quando si dice il caso, che il giornalista ucciso a Roma nel 1979 in circostanze misteriose conoscesse bene alcuni demodoxalogi», informa Bergamo per nulla intimorito. D'altronde, fra di loro figurava il generale di Corpo d'armata Adriano Giulio Cesare Magi Braschi, che fu braccio destro del generale Giovanni De Lorenzo, il comandante del Sifar accusato dall'Espresso d'aver ordito un colpo di Stato nel 1964.
È dal 1928, cioè da quando esiste, che la demodossalogia, com'è stata chiamata fino a due anni fa (un retaggio della purezza linguistica imposta da Benito Mussolini), deve fare i conti col suo passato. Il primo a intuire che l'opinione pubblica poteva essere manipolata fu Paolo Orano, rettore dell'Università di Perugia e docente di storia del giornalismo. Benché fosse di origini ebraiche, Orano, ex socialista, senatore del Regno, sposato con la scrittrice francese Camille Mallarmé, era diventato vicedirettore del Popolo d'Italia e direttore della Scuola fascista di giornalismo. Caduto il Duce, fu rinchiuso nel campo di concentramento alleato di Padula, nel Salernitano, da dove uscì per andare a morire, agli arresti, nella sua casa di Firenze, nel 1945.
Sembrate una società segreta.
«Ma non lo siamo. Il fatto è che la demodoxalogia richiede un lungo e difficile tirocinio. Vogliamo essere sicuri che chi entra nella Sidd sia puro, che non usi questa disciplina per fini distorti».
Non avete paura di finire in galera?
«È sempre stata una scienza scomoda, vista come fascista prima e come golpista poi. Anch'io all'inizio la guardavo con sospetto. Poi, per pura curiosità, nel 2000 ho seguito l'ottavo convegno nazionale della Sidd che si teneva a Mira, nel Veneziano, e ho capito quanto fosse utile per un giornalista studiare l'opinione pubblica. Purtroppo alla fine di ogni regime, anziché salvare ciò che di buono è stato fatto, si azzera tutto: statue, libri, persone».
Parrebbe una scienza bellica.
«Il presidente americano Harry Truman sosteneva che il 95 per cento delle informazioni segrete appare su quotidiani e riviste. Dai necrologi e dalle notizie sui ritardi dei treni, pubblicati dai giornali tedeschi durante la seconda guerra mondiale, i sociologi Elihu Katz e Paul Lazarsfeld capivano se i bombardamenti alleati avevano colpito o no gli obiettivi. Le Brigate rosse pianificarono il rapimento di Aldo Moro dopo aver letto sulla stampa che lo statista dc era solito andare a messa nella chiesa di Santa Chiara. M'è capitato d'intervistare Michail Gorbaciov, il teorizzatore della glasnost, la trasparenza nell'informazione, il quale mi ha spiegato come certe notizie sia meglio non darle. Forse s'era pentito d'averle fatte dare».
Che cos'è l'opinione pubblica?
«La via di mezzo fra dubbio e certezza. Nella politica italiana vi sono opinioni pubbliche molto frammentate, ma poi si addensano. C'è quella coagulata attorno a Silvio Berlusconi; quella di Pier Luigi Bersani, giudicata in questo momento la più forte; quella che sta formando Pier Ferdinando Casini, il quale di suo non ha niente ma si dà da fare con Gianfranco Fini e con l'aiuto del Messaggero, il quotidiano di Roma edito dal suocero; quella di Beppe Grillo; quella che sta a cuore ad alcuni poteri forti, in cerca di un loro candidato dopo aver scartato Luca Cordero di Montezemolo ed Emma Marcegaglia».
E quali sarebbero i poteri forti?
«Confindustria, Fiat, Corriere della Sera, Mediobanca e una serie di famiglie che posso elencarle in ordine alfabetico: Agnelli, Angelucci, Benetton, Berlusconi, Boroli-Drago, Caltagirone, De Benedetti, Del Vecchio, Della Valle, Doris, Ferrero, Ligresti, Lucchini, Merloni, Monti-Riffeser, Pesenti, Rotelli, Toti, Tronchetti Provera».
Si può orientare l'opinione pubblica?
«Solo creando uno stretto legame con l'attualità e agendo sugli indecisi. Sull'individuo che s'è già formato un'idea è inutile intervenire: non si farebbe altro che rafforzarlo nel suo convincimento. Per formare un'opinione pubblica radicata servono tempo e soldi. Per formarne una veloce servono ancora più soldi».
Voi della Sidd studiate o formate?
«Studiamo. Ma abbiamo anche gli strumenti per agire. Alle elezioni comunali qui a Venezia ho fatto eleggere un candidato della Margherita sbucato dal nulla, Vittorio Pepe, che senza mai intervenire in pubblico, solo col passaparola, ha sconfitto gente che stava in politica da 20 anni».
Mi svela il trucco?
«Si usano tre temi: primario, secondario e terziario. Il primario è fatto di pace, amore, sicurezza, lavoro. Il secondario poggia sull'attualità. Il terziario è costituito dall'alternanza fra i primi due. Ci si difende su tutta la linea e si attacca su un solo punto. L'opinione pubblica non è in grado di affrontare più di sei problemi contemporaneamente. Se sono di meno, meglio».
Perché lei sostiene che chi ha le informazioni comanda mentre chi non le possiede non vale nulla?
«Perché chi le possiede le usa per gestire il potere o per fare affari e il popolo si conforma per imitazione».
E chi verifica se le informazioni sono vere?
«Dovrebbero essere i giornalisti».
Quanto contano i vari Facebook e Twitter nella formazione dell'opinione pubblica?
«Da 1 a 10, contano 5».
E Internet?
«È difficile fare l'analisi fra le righe dei giornali, figuriamoci sul Web, dove non si sa chi siano i proprietari dei siti e impazzano le bufale. No, il quotidiano resta quanto di più vicino alla realtà, perché ha dalla sua il fattore diurnalia, le cose di tutti i giorni».
Perché studia l'opinione pubblica?
«S'imparano cose che altri non sanno».
Lei che cosa sa che io non so?
«Preferisco non dirlo».
Che differenza c'è fra demodoxalogia e statistica?
«Noi non usiamo la statistica strettamente intesa. Intervistiamo i leader portatori di un determinato pensiero, nella convinzione che questo si riverberi sull'opinione pubblica, e calcoliamo in centimetri quadrati lo spazio che vi viene dedicato».
E tra opinione pubblica e folla?
«La folla è un insieme di persone radunate in un certo luogo da un sentimento momentaneo. Si esalta in base al raggio visivo e uditivo, fino a una regressione mentale in cui l'individuo crede di poter compiere qualsiasi atto e di avere l'impunità garantita, perde la capacità di raziocinio, procede solo per impulsi binari: bello-brutto, buono-cattivo, giusto-sbagliato. La folla viene strumentalizzata in breve tempo».
Infatti Oscar Wilde sosteneva che la pubblica opinione è un tentativo di organizzare l'ignoranza della gente, e di elevarla a dignità con la forza fisica.
«Sosteneva anche che le spie non servono: il loro lavoro lo fanno i giornali. L'ha scritto in Un marito ideale, mi pare».
Per Honoré de Balzac l'opinione pubblica era la più viziosa delle prostitute.
«Dai demodoxalogi è considerato lo scrittore che meglio ha sondato l'opinione pubblica del suo tempo, al pari di Émile Zola e Alessandro Manzoni. Basta andarsi a rileggere il capitolo 24 dei Promessi Sposi, in cui Manzoni esorta a seguire il buon senso, attraverso il quale si forma quella coscienza comune che è il fondamento delle decisioni collettive».
Secondo Anatole France l'opinione pubblica per molte persone è solo una scusa per non averne una propria.
«La sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann la pensava allo stesso modo: se un cittadino ha un parere contrario, ma tutti sono di parere opposto, costui entra nella spirale del silenzio».
Io mi preoccuperei molto se avessi le stesse opinioni della cosiddetta opinione pubblica. E lei?
«Dipende dai punti di vista. Io meno».
L'unica opinione che mi sono fatto sull'opinione pubblica è che cambia continuamente opinione.
«Sì, perché segue la diurnalia».
Ogni quanto tempo cambia opinione, l'opinione pubblica? L'avete misurato?
«Prima e dopo i pasti».
Intervistato da lei per la sua agenzia, Oliviero Toscani dice che «l'opinione pubblica è condizionata dalla morale». Condivide?
«Se per morale il fotografo intende l'ambiente circostante, sì».
E quale sarebbe la morale dell'Italia? Io non la vedo.
«La morale dell'Italia...». (Ci pensa). «Mi sembra ancora quella enunciata da Leo Longanesi: “Tengo famiglia”. È quello l'unico collante nazionale».
Lei scrive: «L'uomo ha bisogno di aizzare l'opinione pubblica contro una determinata causa o a favore di un'altra e proprio per questo inizia con precisi segnali che passano generalmente nei media». Le indico una causa molto sponsorizzata dai media in questo periodo: i matrimoni omosessuali devono essere parificati in tutto e per tutto a quelli eterosessuali.
«Gli omosessuali ci sono sempre stati, solo che si dimostrano più organizzati di un tempo. Un 5 per cento, forse meno, della popolazione, diventa una forza risolutiva. Oggi si parla più liberamente di questioni scabrose e non è escluso che ci sia anche una forza lobbistica a imporle».
Chi è il più abile interprete dell'opinione pubblica che vede sulla scena italiana?
«A parte i demodoxalogi? Enrico Mentana. Lo ha dimostrato prima col Tg5 e poi col Tg La7».
Se manipolare l'opinione pubblica è così facile, come mai nessuno riesce a farle credere che l'economia si riprenderà, che l'Unione europea è una benedizione del cielo e che l'euro ha un futuro?
«Aaah, ma quello sarebbe il compito degli economisti. Purtroppo Hans Magnus Enzensberger ha dimostrato che le loro idee, come le loro analisi, non sono molto chiare. Soprattutto gli economisti capiscono poco di economia».
(613. Continua)
stefano.

lorenzetto@ilgiornale.it

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