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"Spacciatori liberi? Un passo indietro nella lotta alla droga"

Il procuratore generale di Torino contro la legge che salva i pusher: "Il nostro lavoro si complica molto"

Marcello Maddalena, procuratore generale a Torino
Marcello Maddalena, procuratore generale a Torino

Roma - Sono tanti i profili critici che Marcello Maddalena, Procuratore generale di Torino, segnala dopo la sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione che impone ai magistrati di ridurre le condanne, anche definitive, dei piccoli spacciatori per applicare i due verdetti della Consulta che hanno cancellato la legge Fini-Giovanardi e reintrodotta la distinzione tra droghe leggere e pesanti.

Procuratore, iniziamo dagli effetti sulla lotta al traffico di stupefacenti: quali saranno?
«Certamente, si tratta di un passo indietro nella repressione dello spaccio di droga a livello medio-basso, proprio quello di strada, davanti a scuole e case delle famiglie, che preoccupa di più il cittadino. I piccoli spacciatori non andranno più in carcere e almeno 4-5 mila condannati con sentenza definitiva usciranno prima di prigione. Credo che la rete dello spaccio sarà più estesa e capillare e ci potrà essere anche un aumento dei consumatori».

A gennaio, dopo la legge «svuota-carceri», lei disse che si dava l'impressione di uno “Stato che si è arreso”: ci risiamo?
«Sicuramente, una risposta meno decisa, meno efficiente, meno immediata, significa un arretramento non da poco nella lotta alla droga e ha un minore effetto dissuasivo».

Il fatto che i pusher non finiscano in galera si percepisce come una sorta di impunità?
«Sarebbe esagerato, ma cambia la percezione sociale del piccolo spaccio, che culturalmente appare meno grave».

Avrà diritto allo sconto di pena anche chi ha una condanna definitiva. È una novità?
«Si è inciso, per la prima volta, sull'intangibilità delle sentenze passate in giudicato. Il fatto di aver scalfito questo principio comporterà un grandissimo aggravio di lavoro agli uffici giudiziari, in particolare tribunali e corti d'appello, per ricalcolare le pene dei condannati. E in una situazione già difficile come quella di oggi, non c'era bisogno anche di questo».

Ma si tratta davvero di «piccoli» spacciatori o, come segnala il suo collega pm aggiunto di Bologna Valter Giovannini, molti sono «apparenti»?
«Capisco quello che intende: se si spaccia abitualmente, ma non un chilo di droga tutto insieme bensì mille dosi da un grammo, in realtà l'attività non è piccola ma grossa».

Questi pusher sono per lo più anello finale dei sistemi di criminalità organizzata, bancomat di mafia e camorra.
«Molte organizzazioni mafiose e camorristiche li utilizzano ma i sistemi criminali di distribuzione sono più numerosi di quello che si ritiene. Si costituiscono continuamente. Le filiere sono tante. Un mio collega dice che nello spaccio succede come nelle tonnare: tutti vanno a finire lì. Ogni terminale può far risalire la catena di comando, ma più si estende il fenomeno dell'uso, più si estendono anche le catene di comando. Ecco perché quello che incide è l'ampiezza della rete. Se con le nuove norme si facilita la diffusione capillare, il nostro lavoro si complica notevolmente».

Alla base di quest'inversione di rotta nella lotta agli spacciatori c'è anche l'esigenza di diminuire il sovraffollamento nelle carceri?
«In parte sì, ma in parte c'è anche un cambiamento culturale».

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