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La spending review si abbatte sugli ospedali: tagliati 7mila posti letto

Falciati almeno 7389 letti. Aumentano quelli per le degenze lunghe, diminuiscono quelli per le emergenze

La spending review si abbatte sugli ospedali: tagliati 7mila posti letto

La spending review si abbatte sugli ospedali italiani che perderanno in totale "almeno 7389 posti letto", soprattutto in Emilia Romagna, Lombardia e Lazio, che superano i nuovi standard sia per i letti per acuti (cioè tutti quelli che servono ai ricoveri ad esempio per gli interventi di emergenza o programmati) sia per quelli per le lungodegenze e la riabilitazione e da sole dovranno registrare in totale oltre 6mila posti in meno.

La riorganizzazione della rete ospedaliera, conseguenza dalla revisione della spesa pubblica, prevede infatti che ci siamo al massimo 3,7 posti letto ogni mille abitanti di cui almeno 0,7 riservati alle lungodegenze. Le Regioni che già rispettano questi standard potranno invece aumentare in caso il numero dei posti letto sia inferiore al tetto massimo.

Questo significa che in totale i letti dovranno passare dagli attuali 231.707 a 224.318. A subire la scure saranno soprattutto quelli per le emergenze, che oggi sono 3,23 ogni mille abitanti. Così ci sono Regioni come la Toscana che nel bilanciamento tra i due tipi di assistenza ospedaliera si ritroveranno a poter ampliare addirittura di oltre 1.400 i posti letto a disposizione, mentre Emilia Romagna, Lombardia e Lazio dovranno falciare circa 2mila posti a testa. Per molte Regioni, insomma, si tratterà di riconvertire posti letto che oggi sono dedicati ai ricoveri ordinari per dedicarli invece all’assistenza per le esigenze di pazienti come gli anziani, i malati cronici, o chi ha bisogno di una riabilitazione seguita dalla struttura ospedaliera. 

Il nuovo regolamento messo a punto dal ministro della Salute, Renato Balduzzi, è stato bocciato dai sindacati: "Nella lotteria dei posti letto da tagliare perdono tutti, medici e cittadini", dice Massimo Cozza, della Cgil medici, mentre l’Anaao, il principale sindacato dei medici ospedalieri, lo liquida come un "attacco al diritto alla salute".

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