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Sprechi, gli statali inefficienti ci costano 73 miliardi di euro

Il governo vuole tagliare 4,2 miliardi di spesa in sette mesi. E a Bondi sono già arrivati via web 40mila suggerimenti per i tagli

Sprechi, gli statali inefficienti ci costano 73 miliardi di euro

Roma - Se il pubblico fosse stato amministrato come il privato, la spesa sarebbe più bassa di 73 miliardi di euro all’anno. Quindi di circa dieci punti percentuali in meno rispetto ai livelli attuali.
Il nodo della spending review presentata da Piero Giarda lunedì scorso è, in gran parte, dentro questo dato che il ministro considera comunque il frutto di una tendenza «strutturale». Inevitabile, quindi. Fatto sta che «i costi di produzione dei servizi pubblici sono cresciuti nel tempo molto più rapidamente dei costi di produzione dei beni di consumo privati». Nel 2010, appunto, la distanza tra i due mondi è misurabile in 73 miliardi di euro. Negli anni, non si è fatto molto per ridurla. «Il differenziale di costo - osserva Giarda nella relazione - già esistente nel 1980 - è aumentato nei trenta anni successivi, fino al 2010, del 28,8% con una media di svantaggio annuo pari a 0,8%, una misura del costo della inferiorità tecnologica del settore pubblico».
In sostanza, mentre il privato si attrezzava e migliorava i processi di produzione, il pubblico restava labour intensive. Troppi dipendenti. Questo il ministro non lo dice, ma osserva come, fatti salvi alcuni servizi, come l’istruzione dove «non ci potrà mai essere il tasso di progresso tecnico o di innovazione tecnologica che caratterizza la produzione di computer», è «certamente vero che la pubblica amministrazione non è il veicolo istituzionale più favorevole alle innovazioni dei processi. La conseguenza di questo stato di arretratezza è la necessità di continui aumenti di prezzo imposti alla collettività, ovvero l’aumento della pressione tributaria».
Quanto il problema stia a cuore agli italiani è dimostrato dal boom di segnalazioni di sprechi via internet arrivate al governo. A due giorni dall’apertura del form nel sito dell’esecutivo sono stati circa 40mila. Uno ogni quattro secondi. Unico caso trapelato ieri quello di una statua da 186mila euro per abbellire il Palazzo di giustizia di Treviso. Ancora non è dato sapere cosa farà il governo di questa e delle altre segnalazioni.
Per il momento l’attenzione è concentrata altrove. Ad esempio sul come saranno utilizzati i risparmi futuri della revisione della spesa pubblica, in particolare quando entrerà nel vivo il lavoro di Enrico Bondi.
Giarda nella relazione alla spending review sostiene che deve essere «al servizio» della riduzione delle tasse. «Per alleviare le condizioni di vita dei soggetti in condizioni di difficoltà economica e con la speranza che l’idea di un avvio della riduzione del prelievo tributario possa segnalare all’economia l’avvicinarsi di una stagione meno grave».
Ma ieri, dal ministero dell’Economia, è arrivato un segnale che va nella direzione opposta. Il sottosegretario Vieri Ceriani ha spiegato che «non c’è un nesso preciso tra i tagli alla spesa e l’aumento dell’Iva». Pochi giorni fa era stato Palazzo Chigi a spiegare che i risparmi della spesa potrebbero fare evitare l’aumento di due punti percentuali dell’imposta su beni e servizi di ottobre. L’uscita di Ceriani, molto vicino al premier Mario Monti, fa pensare che, come minimo, il governo intende avere le mani libere. I 4-5 miliardi di risparmi attesi, potrebbero servire a tappare il disavanzo. O a compensare entrate dell’Imu nel caso si rivelino inferiori rispetto alle attese. Nessuna buona nuova nemmeno sulla nuova Ici.

Nonostante le pressioni, non sono in vista modifiche, se non in un futuro non meglio precisato.

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