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Prima lo stop poi l'ok al decreto E il Pd scopre i diktat del Colle

Il Quirinale firma in serata la riforma della Pubblica amministrazione e il dl crescita. Ora inizia l'iter alla Camera: quegli attriti tra Renzi e Napolitano su tempi e contenuti

Prima lo stop poi l'ok al decreto E il Pd scopre i diktat del Colle

La lunga attesa, il decreto fantasma sulla pubblica amministrazione, rimasto a lungo disperso tra i corridoi del Quirinale, le dimensioni elefantiache del testo - 82 articoli distribuiti in 71 pagine - il braccio di ferro sotterraneo, i malumori del Pd. E poi l'apertura di un nuovo fronte, quello della riforma della giustizia con le prime avvisaglie di un possibile scontro in campo aperto con i magistrati.
Sarà pure scampato a un (meritato) richiamo del Colle per l'eccesso di voti di fiducia, ma Matteo Renzi si trova a fronteggiare una raffica di affondi, critiche e rilievi da provenienze diverse. Il primo vero fronte dialettico è quello con la grande macchina burocratico-istituzionale guidata da Giorgio Napolitano. Per giorni si sono moltiplicate le voci sul nervosismo di Palazzo Chigi per i rilievi sollevati dal Quirinale sul decreto PA, smarrito per quasi due settimane tra la presidenza del Consiglio e della Repubblica. Il «time-out» istituzionale si è protratto dal 13 giugno, da quando il testo è arrivato negli uffici giuridici del Quirinale. Fino alla sospirata fine del periodo di decantazione, arrivata ieri con la sudata firma del capo dello Stato sui decreti per la riforma della Pubblica amministrazione e per la crescita.
Una guerra di nervi fatta di bozze incomplete, di aggiunte e sottrazioni, di «suggerimenti» quirinalizi piuttosto decisi, con un risultato tangibile ed evidente: lo spacchettamento in due distinti provvedimenti di un decreto che in un'unica formulazione non avrebbero passato un vaglio di coerenza, spaziando dal pensionamento dei magistrati alla mozzarella di bufala. Il conflitto, nella giornata di ieri, compie poi un salto di qualità. Con un articolo sul Corriere della Sera, firmato da Marzio Breda, i malumori del Colle sul «decretone» vengono sostanzialmente ufficializzati. Il Colle, però, tenta la frenata. «I contenuti dell'articolo sono frutto di elaborazioni alle quali la presidenza della Repubblica è del tutto estranea». A quel punto è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio a stemperare. «È tutto finito, tutto a posto».
Con la firma del Capo dello Stato e la bollinatura della Ragioneria generale, i due provvedimenti ora verranno spediti alle Camere in vista di un percorso parlamentare incrociato che si preannuncia molto delicato visto che si dovrà lottare contro il tempo, con il decreto PA assegnato alla Camera e quello sulla competitività al Senato, con una «deadline» prevista per fine agosto.
L'umore dalle parti del Pd non è certo improntato all'entusiasmo. Il timore è che dietro i malumori del Colle si nascondano le pressioni delle lobby, poco inclini a favorire il ricambio generazionale di magistrati e dirigenti pubblici e decise a difendere interessi precostituiti. Paure che si rafforzano quando sia il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, sia il procuratore generale, Gianfranco Ciani lanciano l'allarme. «Se si mette troppa carne al fuoco, la riforma della giustizia rischia di essere fragile» dice Santacroce. «Non si sa cosa si nasconde dietro la riforma. Niente contro chi propone il cambiamento radicale, ma si guardi piuttosto al funzionamento della macchina giudiziaria». Un «consiglio» in linea con voci interne al Pd che fanno notare come il continuo ricorso alla decretazione d'urgenza imponga un prezzo da pagare.

Un «effetto boomerang», insomma, con il Colle che chiude un occhio sui requisiti di necessità e urgenza, ma accresce enormemente il proprio potere contrattuale.

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