Cronache

È strage di bambini. Il tuffo disperato del papà per salvare la famiglia

Si è gettato nel fiume che ha risucchiato figlioletta e moglie. Un bimbo di 3 anni morto col padre, due ragazzi annegati coi genitori nella casa-cantina

È strage di bambini. Il tuffo disperato del papà per salvare la famiglia

I piccoli ci commuovono di più. Le loro storie, il mistero delle loro vite implacabilmente stroncate sul bagnasciuga della vita sembrano fatte apposta, ogni volta, per farci interrogare sul senso del nostro essere sul pianeta; sulla casualità che sottende le nostre esistenze. Perché anche i piccoli? Ma soprattutto: come, con quali parole placare il dolore, lo sgomento di un padre, di una madre che vedono morire tragicamente i loro figli? Che parole usare, oggi, per raccontare la morte del piccolo Enrico Mazzoccu, 3 anni, figlio del postino di Olbia Francesco, 35 anni, morti entrambi a Raica, sulla strada fra Olbia e Telti? Avevano trovato riparo, stretti l'uno all'altro, sul muro di recinzione di un terreno. Alcuni parenti gli avevano lanciato delle cime, come si fa con i naufraghi, ma i tentativi di agganciarli sono falliti. Finché il muro è crollato, e quando li hanno trovati, padre e figlio, erano due poveri fagotti lontani cinquanta metri l'uno dall'altro. Che parole usare per raccontare la storia di Patrizia Corona, 42 anni, che era sulla sua Smart con la figlia Morgana, di 2, e in località Bandinu l'acqua se l'è portate via? E perché esigere le vite di mamma e figlia e risparmiare invece quella del marito di Patrizia, Innocenzo Giagoni, 48 anni, poliziotto, che seguiva con la sua auto quella della moglie e ora non sa darsi pace al pensiero d'esser vivo, e ci ha provato anche lui, ad andarsene con le donne della sua vita rituffandosi nel canale assassino, ma un baggiano, un'anima semplice l'ha trattenuto, pensando magari di fargli un favore.

Brevi immagini di bambini morti, ai Tg della sera. Una manciata di secondi, ma bastano per far riaffiorare alla memoria quelle di altri bambini già dimenticati, come gli undici morti nella strage di Lampedusa dell'11 ottobre sepolti nel piccolo cimitero di Mazzarino, in provincia di Caltanissetta, con la banda e i crisantemi bianchi. Un po' più grandi - ma si possono dire grandi dei ragazzi di 16, di vent'anni? - un po' più grandi erano Weriston e Laine Kellen, strani nomi di ragazzi brasiliani, lui vent'anni, lei sedici, appunto, morti affogati nel «basso» in cui abitavano insieme con il padre Isael Passoni, 42 anni, custode di un villino e fervente seguace di una Congregazione cristiana e la madre Cleide. Abitavano in quel seminterrato, una specie di basso napoletano, nella ricca Arzachena, perché i soldi per stare in una casa decente, dalla quale vedere il sole, non li avevano. Morti affogati, come topi presi in trappola. Una rasoiata alla cieca, da nord a sud, lungo la costa orientale; un diluvio mortale di vento acqua e fango che nel suo tragitto si imbatte anche in Luca Tanzi, 44 anni, assistente capo della Polizia che potrebbe restarsene in ufficio, visto che le condizioni meteo avrebbero impedito a lui e alla sua pattuglia di compiere il solito giro di perlustrazione sul Supramonte a caccia di latitanti. E invece il mestiere, il senso civico, l'onore della divisa gli impongono di andare a dare una mano. Così, con tre suoi colleghi, si imbarca sul fuoristrada con le insegne della Polizia di Stato. E tra Oliena e Dorgali si imbattono in un'ambulanza che trasporta una ragazza di 25 anni in ipotermia. «Vi scortiamo noi, seguiteci», dicono i poliziotti. I due mezzi ripartono, però c'è un ponte, lì davanti, da superare. Un ponte già ghermito da una valanga d'acqua, e infatti quando il fuoristrada c'è sopra, una campata cede. Un volo di quattro metri. Tre agenti sono feriti, ma vivi. Tanzi muore, e lascia a casa una moglie e due figli, di 11 e 7 anni.

E forse anche loro meriterebbero un posto, nell'elenco delle vittime di questo gran disastro.

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