Politica

Lo studio degli avvocati Peron e Galbiatii numeri

È una pessima commedia degli equivoci: si scambia la critica con la diffamazione. Basta poco per rimediare un atto di citazione e ritrovarsi in tribunale. Non è uno sport nazionale, ma poco ci manca: si chiede con troppa disinvoltura la condanna dei giornalisti che hanno confezionato articoli magari scomodi, ma non disinformati. È quel che emerge da una ricerca condotta dagli avvocati Sabrina Peron e Emilio Galbiati. Una fotografia che racconta l'Italia di oggi attraverso 89 sentenze civili firmate dai tribunali più importanti d'Italia: Torino, Milano, Roma, Genova, Monza, Bari e tanti altri. Bene, il dato più interessante documenta la bulimia giudiziaria: la diffamazione è stata riscontrata solo nel 43,4 per cento dei casi; questo vuol dire che il 56,6 per cento delle cause finisce con il rigetto della domanda. La diffamazione non c'era, c'era solo la pretesa di qualcuno di rivalersi sulla stampa. La sproporzione fra le attese dei cittadini e le risposte della magistratura si nota da un altro elemento: l'entità media delle richieste risarcitorie è di 839.417,43 euro. Una cifra stratosferica. Ma il risarcimento effettivamente liquidato è di «soli» 45.068,57 euro. Ovvero, il 6 per cento del gruzzolo.
In poche parole, si va in tribunale con grandi pretese e se ne esce ridimensionati, perché le sentenze - quelle di primo grado - offrono poco a pochi. Insomma, le aule di giustizia - qui quelle civili - già ingolfate, rischiano di ingolfarsi ancora di più per procedimenti che non portano a nulla. Naturalmente non è possibile conoscere il contenuto delle singole storie, ma il quadro generale è chiaro: ci sono magistrati, politici, cittadini qualunque che provano continuamente a mettere la museruola al quarto potere, trascinando cronisti e opinionisti davanti a un magistrato. Si pensa evidentemente di poter far cassa rapidamente, ma non è così. I tribunali sono ancora un baluardo che tutela la libertà di stampa. Almeno sulla carta, perché comunque dover sostenere cause che si allungano nel tempo, con un dispendio di energie e soldi, non fa bene alla categoria che già boccheggia per la crisi. Tanto per dare un altro elemento, la durata media dei procedimenti è di 3 anni e 9 mesi solo in primo grado, ma in quattro occasioni il processo è andato avanti per otto lunghissimi anni.
Se questo è lo scenario sul fronte della giustizia civile, qualche riflessione merita anche il campione che la coppia Peron-Galbiati ha ritagliato dal penale. Qui sono state analizzate 10 sentenze, siamo in sostanza davanti a un carotaggio e i risultati sono per forza di cose parziali. Qualcosa però si può dire: su dieci condanne, sei colpiscono il giornalista solo con una pena pecuniaria; nel 20 per cento dei casi, però, arriva la condanna alla reclusione. Al carcere, insomma, anche se di solito il paracadute della condizionale blocca l'esecuzione della pena. E nel restante 20 per cento delle situazioni, la condanna è mista: multa più reclusione. Può essere interessante conoscere l'entità media della pena detentiva, mentre ci si accapiglia per modificare la legge ed eliminare lo spauracchio del carcere. Bene, la durata media - pur ricordando ancora l'esiguità del campione - è di 7 mesi. Sette mesi di carcere, anche se quasi sempre virtuali. Per l'Europa l'Italia non può tollerare questa vergogna.

Davvero, una riforma, è necessaria.

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