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Le trame di Tremonti al Colle e le ultime ore del Cav premier

Brunetta ripercorre i giorni che portarono alle dimissioni di Berlusconi nel 2011: "Giulio voleva Palazzo Chigi". Il ruolo di Napolitano prima del G20 di Cannes

Le trame di Tremonti al Colle e le ultime ore del Cav premier

Con un giorno d'anticipo, rientro in Italia, 2 novembre 2011. Giusto per l'ufficio di presidenza del Pdl in cui si decide di andare avanti, di presentare il decreto sviluppo: le vitamine dopo tanti antibiotici. Matteoli, Romani e io confermiamo che il testo del decreto è pronto e correttamente l'avevamo inviato al ministero dell'Economia e delle finanze, perché lo facesse proprio. Però dal Mef non avevamo avuto alcun cenno di vita, tanto meno dal ministro. Come era prassi, inoltre, il decreto era stato mandato al presidente della Repubblica e c'erano voci di difficoltà. Veniamo informati di questi intoppi quirinalizi da Gianni Letta, ma decidiamo comunque di portare il decreto in Consiglio dei ministri. Decreto? Ovvio. La Costituzione lì dove autorizza i decreti, sembra stata scritta un attimo prima, proprio per questo caso.

Berlusconi mi chiede di chiamare Napolitano

All'uscita dall'ufficio di presidenza del Pdl, il premier Berlusconi mi chiede di chiamare il presidente della Repubblica per capire la natura e la rilevanza delle difficoltà. Il presidente Napolitano mi dice ruvidamente: «Ma chi vi ha detto di fare un decreto? Fate piuttosto un maxiemendamento alla legge di Stabilità». Ho la risposta pronta e vera: «Ce lo chiede l'Europa. Berlusconi domani ha il G20 di Cannes, non è che possa andare a spiegare che le politiche di sviluppo e le riforme sarebbero state un maxiemendamento». Napolitano inamovibile dice: «Dimmi, Brunetta i nomi dei capi di Stato e di governo che in Europa ci chiedono il decreto che li chiamo io uno per uno».

Un Consiglio dei ministri drammatico (parte prima)

Ci trasferiamo a Palazzo Chigi, riferisco a Silvio Berlusconi. Erano arrivate nel frattempo le otto. Comunicazione di Gianni Letta in esordio: il decreto non sarebbe stato controfirmato dal presidente della Repubblica. Il verbale del Consiglio si chiude così. Berlusconi andò inerme al G20 di Cannes. Più ci ripenso, più resto ammirato davanti a quel sacrificio consapevole, assunto adempiendo fino in fondo alla sua missione. Eppure in lui c'era quell'ingenua baldanza di chi sa di essere sul lato giusto della storia.

La ricostruzione per tabulas della vicenda

Ricostruirò la vicenda di quella decisione qualche mese dopo, con un articolo sul Giornale intitolato: «Toh, i tre decreti Monti li aveva già fatti il governo del Cavaliere» (6 febbraio 2012). Dimostravo punto per punto come il 70 per cento delle misure adottate nei primi mesi di governo Monti erano le stesse contenute nel decreto bocciato da Giorgio Napolitano. Copio e incollo una frase dal mio file. «Da una sovrapposizione quanti-qualitativa emerge una corrispondenza del 50% sia di materie che di contenuti e di un ulteriore 20% di materie ma non di contenuti. Tutto ciò non può non far riflettere sul ruolo discrezionale della presidenza della Repubblica in quel fatidico 2 novembre». Questa esibizione di pistola fumante non poteva essere oscurata facilmente.

La conferma del Quirinale

Tutto questo mi meritò una risposta del Quirinale. Con lettera al direttore del Giornale, il Consigliere del presidente della Repubblica per la stampa e la comunicazione, dottor Pasquale Cascella, raccontò, precisò e non negò. La cosa che più mi premeva fu ammessa: Cascella non contestava il fatto che il decreto avesse requisiti di necessità e urgenza. Dunque doveva essere firmato. E allora perché Napolitano non lo fece?

Un Consiglio dei ministri drammatico (parte seconda)

Quella sera del 2 novembre si fece molto vivo Giuliano Ferrara, scuotendoci dalla desolazione. Con una telefonata in pieno Consiglio sostenne con la nota gagliardia la tesi della prova di forza con il Quirinale. Diceva che se avessimo abbozzato sarebbe stata la fine. Lo è stata, aveva ragione.

Lo sciopero bianco del ministro Tremonti

Ecco dov'era finito Tremonti quel pomeriggio in cui telefonai al capo dello Stato. Non ho mai saputo se Tremonti fosse seduto davanti a lui, convinto che a essere stato tradito era proprio lui, e da noi tutti, soprattutto da me. Resto convinto della buona fede di Giulio. Era convinto che la sua pozione di rigorismo assoluto avrebbe salvato l'Italia e il mondo. La cattiva scienza di Tremonti gli ha dettato pessime azioni. In quei giorni aspettava sulla riva del fiume, prima fosse scivolato sulle acque il cadavere del governo, prima si sarebbe verificato quel che doveva accadere. La fine di un'epoca e l'inizio di una nuova, dove forse c'era un cavallo bianco pronto per essere montato da Giulio.

Il G20 di Cannes (parte prima)

Berlusconi si reca a mani vuote al G20. Sull'aereo di Stato che quel mattino del 3 novembre lo portava in Francia dietro di lui stava proprio Tremonti. Berlusconi era disarmato, psicologicamente e istituzionalmente. Confidava molto nelle sue capacità relazionali, ma evidentemente queste non bastavano più, e lo sapeva. Senza nulla da appoggiare sul tavolo. Qualcosa di cui potesse dire: Ehi, ragazzi, questa roba, mentre voi la leggete, in Italia è già legge. Ma a Berlusconi tocca recitare la parte, e chi ha che può sostenerlo in questa campagna disperata? Guarda dietro il sedile dell'aereo, e chi c'è? Tremonti! Unica compagnia: Tremonti!

Le tensioni con Tremonti. Retroscena

Berlusconi ci aveva litigato eccome, con il ministro dell'Economia. Sul Giornale, Adalberto Signore il 7 febbraio 2012, avvalorò le rivelazioni del Quirinale con un retroscena assai bene informato. Prima del viaggetto riservato di Tremonti al Quirinale, ci fu, scrive Signore, «un faccia a faccia nel quale il titolare dell'Economia arrivò a chiedere al premier di “fare un passo indietro perché per l'Europa e i mercati il problema sei tu”. Eloquente la risposta di Berlusconi: “La colpa è tua visto che sono tre anni che vai a sputtanarmi in giro per il mondo”». (Il Giornale, 7 febbraio 2012, pag. 2).

Il G20 di Cannes (parte seconda)

Berlusconi viene subito assediato dal branco, mentre Tremonti si defila e osserva, salvo fiancheggiare Berlusconi almeno nella riunione finale. Con Sarkozy che spinge per un vero e proprio «commissariamento» dell'Italia e l'Fmi che decide di «monitorare» i conti pubblici italiani. E la Merkel che guarda compiaciuta la sofferenza visibile di Berlusconi per la sorte non tanto del suo governo, ma quella del suo Paese. Berlusconi rifiuta il commissariamento e accetta l'ispezione, inevitabile del resto, e ritorna a Roma, attendendo la sua sorte come in una tragedia shakespeariana. Non un giallo. Infatti il finale era noto a tutti.

Berlusconi lasciato solo. Non si arrende

Berlusconi è stato l'ultimo premier eletto dal popolo e si vede, si identifica con esso. Monti è eletto dal G20... Un popolo di una ventina di leader. Nessuno italiano. Berlusconi è sicuro della bontà dei fondamentali italiani, della forza intrinseca del Paese, della sua capacità di risparmio. Immagino il suo stato d'animo. Poteva essere la fuoriuscita dalla crisi, è stata invece il sigillo della crisi. Il complotto si era ormai chiuso su di lui. Avevamo tentato di tutto perché Cannes fosse un momento di forza dell'Italia.

Bugie e verità

Fa male leggere all'alba di marzo 2014, a firma del ministro Tremonti, la ricostruzione di quello che è accaduto nel 2011. Una descrizione degli eventi di chi vuol dimostrare, ex post, che aveva capito tutto. Che tutto è cominciato per un problema del sistema bancario tedesco e francese, che negli anni precedenti al 2011 aveva finanziato irresponsabilmente Grecia, Irlanda e Spagna, e in quella estate era giunto al punto di non ritorno. Che è stato sbagliato accettare di contribuire al fondo Salva-Stati europeo in base alla quota di partecipazione del nostro paese al capitale della Bce e non in percentuale rispetto «all'effettivo grado di esposizione al rischio estero di ciascun sistema bancario-finanziario nazionale».

Su quest'ultimo punto, secondo la ricostruzione di Tremonti, avviene la rottura. Questa sarebbe, per lui, la causa della lettera della Bce. Ma chi era ministro dell'Economia e delle finanze fino a novembre 2011? Se Tremonti aveva capito tutto di quello che stava succedendo, perché non ha fatto nulla per evitare che accadesse? Forse perché, in definitiva, lui questo paese non voleva salvarlo in quel momento. Perché avrebbe corso il rischio di salvare con l'Italia il per lui ormai nemico personale numero uno: Berlusconi, con tutto il suo governo.

Insomma, lui non voleva che il governo di cui era onnipotente ministro dell'Economia continuasse. Desiderava prendere il posto del presidente del Consiglio. E ha semplicemente lasciato che altri facessero per lui.

Gli altri stavano strozzando Berlusconi, lui si limitò a tenerlo fermo, non consentendogli di far nulla.

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