Politica

«Usano la mafia per fare carriera»

Il giorno dopo Giuliano Ferrara è ancora a mille giri: «Io l'anello al naso non me lo faccio mettere». E così l'intervista pare la prosecuzione di Bersaglio mobile, il programma di La7 in cui il direttore del Foglio, l'altra sera, ha battibeccato con Marco Travaglio e persino con Enrico Mentana, che conduceva il dibattito in studio.
Per non farsi mettere l'anello al naso, lei calpesta il galateo della tv.
«La tv è fatta per non far capire niente».
Quindi?
«Quindi in modo anche rude e provocatorio io rompo questo fair play. Così gli italiani possono capire».
Che cosa devono capire?
«Che si fa un uso politico della giustizia. E che così si costruisce una narrazione della nostra storia patria che è una minchiata».
Una minchiata la trattativa fra lo Stato e Cosa nostra?
«Una minchiata».
Ci sono indagini, processi, faldoni su faldoni che parlano di questo.
«Non c'è niente di niente. E invece gli Ingroia ci propinano queste sciocchezze che i loro cani da guardia, come Travaglio, volgarizzano. Io però non mi faccio mettere l'anello al naso».
La narrazione, come la chiama lei, poggia sugli elementi di prova raccolti dai magistrati.
«No, no. Lei non ha capito la premessa».
Quale?
«Fra i magistrati italiani c'è un vizio: far carriera usando la politica. L'ha fatto Di Pietro che l'altra sera stava alla mia destra; l'ha fatto De Magistris, con le sue indagini che non avevano né capo né coda».
Questo lo dice lei.
«L'ha fatto Ingroia che utilizzava come oracolo un pataccaro come Massimo Ciancimino, uno che piazzava la dinamite in giardino, falsificava i documenti per calunniare Gianni De Gennaro, cercava di nascondere i soldi sui conti esteri; uno che Ingroia ci aveva venduto come icona dell'antimafia e poi lo stesso Ingroia ha dovuto arrestare per le troppe bugie che diffondeva».
I processi al generale Mori e agli ufficiali del Ros?
«Sono una vergogna nazionale».
Ferrara, lei se l'aggiusta?
«Ma come si permette. Occorre invece che qualcuno glielo dica a questi signori che vogliono fare la rivoluzione manettara e poi provano anche a trasferirla sulla carta».
Che cosa gli si deve dire?
«Che gli italiani non devono essere presi in giro. Nello studio di Mentana io ho posto a Travaglio una domanda elementare: come mai i collusi, i venduti, i doppiogiochisti con le stellette, i carabinieri gli investigatori che avrebbero tradito lo Stato, hanno annientato la mafia, hanno catturato Totò Riina e poi 3.700 mafiosi e poi ancora Bernardo Provenzano?».
Infatti Travaglio ha risposto.
«Prima è andato in bamba. Non si capiva se non voleva o non sapeva rispondere».
No, ha risposto.
«Ha spiegato che Riina è stato consegnato da Provenzano e che Provenzano a sua volta è stato preso quando ormai era un vecchio decrepito. Sono senza parole».
Travaglio riporta gli atti delle indagini.
«Travaglio è un giornalista montanelliano, fra virgolette, di cui a Fucecchio ridono».
Ferrara, offende?
«Dico quello che penso. E vorrei che l'Italia si liberasse di questo apparato mediatico-giudiziario che inventa leggende su leggende. Come quella della strage di Stato negli anni Sessanta».
Non apriamo un altro capitolo, per carità.
«Appunto. Stiamo ai fatti. Falcone è morto perché aveva fatto condannare la cupola. E Borsellino perché aveva preso il posto di Falcone. Borsellino non è stato ucciso, come vogliono farci credere, da Berlusconi e Dell'Utri perché si sarebbe opposto alla trattativa che non c'è mai stata».
Ne è così sicuro?
«La tesi della trattativa che tocca Scalfaro, Mancino, Conso, Berlusconi i democristiani, tutta una classe dirigente che viene delegittimata, è ridicola e offensiva».
Conso stracciò 334 provvedimenti di carcere duro. Se n'è scordato, direttore?
«Il suo fu l'atto insindacabile di un ministro. E poi erano 334 rubagalline».
Non proprio. Lei vuole provocare ma erano 334 mafiosi, ndranghetisti, camorristi e chi più ne ha più ne metta.
«Conso ha fatto benissimo. In ogni caso non vorrei essere equivocato».
Chiarisca.
«La trattativa è una leggenda alimentata dai professionisti della rivoluzione manettara che hanno bisogno di menzogne per nutrire le loro invenzioni. Altra cosa è la politica criminale che ogni governo legittimamente conduce. Bisogna infiltrare i mafiosi, se necessario e utile con loro bisogna parlare, bisogna trasformarli in pentiti, spingerli alla resa, calibrare ogni mossa e tattica repressiva nel segreto dell'azione. Ma questo non vuol dire che gli ufficiali del Ros o altri pezzi delle istituzioni si siano venduti o siano complici della mafia che è stata sconfitta sul campo. Con un'aggravante».
Quale?
«Ingroia, lo stesso Ingroia che tiene comizi un giorno sì e l'altro pure, e partecipa continuamente ai talk show, come fosse un secondo lavoro, anzi forse il primo, alla vigilia del processo sulla trattativa parte per il Guatemala.

Perché invece non va in aula a sostenere quel che predica da anni?».

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