Politica

Va cambiata la Costituzione: quei seggi sono diventati stampelle per governi in bilico

L'uso distorto dell'istituto: per dare lustro ai "geni" senza sprecare soldi pubblici meglio ripristinare l'Accademia d'Italia

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con Renzo Piano
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con Renzo Piano

Se fosse stata necessaria una riprova ulteriore della necessità di affrontare in maniera seria la questione di una radicale riforma di una Costituzione, obsoleta e ideologicamente viziata, qual è la nostra, questa riprova è venuta dall'incredibile vicenda della nomina, da parte del presidente della Repubblica, di quattro senatori a vita, tutti dichiaratamente, a voce o per acta, di sinistra o di centrosinistra: un bel quartetto di moschettieri pronti, verosimilmente, a impugnare le spade per contribuire alla nascita di una nuova (e più avanzata) maggioranza qualora la navigazione del governo delle larghe intese dovesse interrompersi bruscamente.
Una ipotesi di questo genere, futuribile ma certo non fantapolitica, ci mostrerebbe il capo dello Stato, quasi alla maniera del suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro (il meno amato della schiera dei nostri presidenti della Repubblica), impegnato in una operazione di ribaltone politico o, nella migliore delle ipotesi, di ricatto politico nei confronti del centrodestra e del suo leader. Può darsi che questa ipotesi sia frutto di un retropensiero, ma, come recita un antico adagio, «a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca». E, del resto, qualche dubbio sulla impropria utilizzazione politica dell'istituto dei senatori a vita (absit iniuria verbis) sorse già quando il laticlavio fu assegnato a Mario Monti per spianargli la strada verso la presidenza del Consiglio. Ma questa è un'altra storia. O, forse, se si preferisce, un altro «pensar male».
Comunque sia, la vicenda conferma, dicevo, l'urgenza di rivedere la Costituzione. E, in questo quadro, anche l'istituto stesso dei senatori a vita, ultimo retaggio (sia pur corretto) dello Statuto Albertino. Questo, all'articolo 33, delegava al Sovrano la competenza di nominare «in numero non limitato» e a vita i senatori del Regno, da scegliersi in un elenco di categorie delle quali la ventesima riguardava «coloro che con servizi o meriti eminenti avranno illustrata la Patria». La nostra Costituzione, all'articolo 59 secondo comma, attribuisce al presidente della Repubblica la facoltà di nominare senatori a vita «cittadini che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario».
Quando in sede di Assemblea Costituente si discusse questo punto, i padri costituenti non pensavano affatto che la pattuglia dei senatori a vita potesse diventare determinante per la vita dei governi. Anzi, tutto il contrario. Contro le obiezioni che giungevano da più parti e soprattutto dalle sinistre, l'onorevole Alberti, autore dell'emendamento in questione, argomentò la sua proposta sostenendo che il numero dei senatori a vita non avrebbe dovuto superare le cinque unità perché «l'esperienza dimostra che in media una generazione non dà più di cinque geni» e aggiunse: «Questi cinque non potranno mai in nessun modo spostare il centro di gravità di una situazione politica al Senato. Capisco che è stato detto che anche lo spostamento di un atomo ha la sua influenza sul corso degli astri; ma qui vaghiamo nell'inafferrabile, mentre noi dobbiamo invece trattare con cose concrete».
Le cose, come si è visto, sono andate diversamente. I senatori a vita, per lo più cronici assenteisti, quando sono stati presenti in aula, non hanno illuminato i dibattiti di Palazzo Madama con i loro lampi di genio, ma sono risultati determinanti per la sopravvivenza stessa di governi che stavano traballando: stampelle di esecutivi pericolanti.

Tutto il contrario di quello che sognavano i padri costituenti. Non sarebbe, forse, meglio ripristinare la vecchia Accademia d'Italia dove i benemeriti illustratori delle glorie della patria, in feluca e spadino, potrebbero, senza percepire a vita un lauto stipendio a spese del contribuente, pavoneggiarsi e non far danno alla politica?

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