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Zagrebelsky, il giurista militante che ha dilaniato i salotti rossi

La gauche lo osannava quando smontava le leggi di Berlusconi. Ma ora le sue critiche a Re Giorgio hanno sconvolto gli equilibri

Zagrebelsky, il giurista militante che ha dilaniato i salotti rossi

Della sinistra, che i suoi articoli hanno spaccato come un melone, rappresenta l'ala giacobina, elitaria, meno legata all'ortodossia del vecchio Pci. Gustavo Zagrebelsky, cognome di origine russa che sibila fra i denti ma formazione piemontese doc, è da sempre uno dei punti di riferimento di quelle minoranze, illuminate per autodefinizione, che si sono messe in testa di costruire una nuova Italia a loro immagine e somiglianza. Naturalmente tutto il resto del Paese, quello che non rientra nel perimetro stretto se non claustrofobico dei loro salotti, è un gradino più in basso, se non è da disprezzare. Perché in realtà esistono due Italie: quella più progredita che poi coincide con loro e i loro amici, e il Paese alle vongole. Una folla di straccioni da rieducare. Del resto questi maestri, quasi profeti per i loro discepoli, vivono nel culto di Norberto Bobbio, di Piero Gobetti e della sua rivoluzione liberale, del professor Augusto Monti e delle sue mitiche lezioni al liceo D'Azeglio. Borghesia sabauda, foderata di libri e di buoni propositi. Comunismo liberale, per dirla con un ossimoro in voga che è peggio di un rompicapo. Sappiamo come sia andata avanti questa storia intransigente e ingombrante, ma anche attraversata da lampi di rara intelligenza. Zagrebelsky, classe 1943, fratello dell'altrettanto celebre Vladimiro, magistrato di grande spessore e lunga carriera, è un professorone dal curriculum sterminato, con titoli nelle caselle giuste dell'editoria, a cominciare dall'immancabile struzzo einaudiano. Ma poi il collante di questo mondo, quello dei Violante, dei Caselli, dei Neppi Modona è stato l'antiberlusconismo. Sicuramente pensava anche a lui il Cavaliere quando malediceva la Consulta che gli smontava le leggi, pure qualche volta raffazzonate, e pareva il prolungamento del sempre evocato partito dei giudici. E lui, il professorone, era una delle figure più autorevoli della Corte dove è rimasto i nove anni canonici: dal 9 settembre 1995, quando fu catapultato alla Consulta da Oscar Luigi Scalfaro, al 14 settembre 2004. Quando se n'è andato dopo aver presieduto l'alto organismo per alcuni mesi. Non è rimasto con le mani in mano. Non ha aperto la mano per chiedere l'auto e l'autista, i benefit a vita (oggi non più) che pure gli sarebbero spettati come emerito, ma ha continuato a distillare i suoi giudizi scrivendo dotte articolesse fra Stampa e Repubblica. Eccolo attaccare il Cavaliere con un paragone sinceramente democratico: «La pretesa di Berlusconi di governare con decreti ricorda la Germania del 1933, quando il Reichstag diede a Hitler il potere di decretazione». Sobrio. Come sempre. Anche quando immagina a modo suo il finale del Caimano, assai diverso da quello morettiano: «Berlusconi finirà come Craxi. Il tiranno di Siracusa Gerone dice: non ho nemmeno la possibilità di ritirarmi a vita privata perché sarei inseguito da tutti coloro verso i quali ho commesso soprusi. Posso solo scegliere di sparire». È l'Apocalisse silenziosa.
L'8 ottobre 2011 compone un peana in onore della cimice che nemmeno il magistrato più duro e puro sottoscriverebbe: «Si dice che bisogna distruggere le intercettazioni che non hanno rilievo penale. E perché, quelle che hanno rilievo sociale e politico, invece? No... Ma in democrazia i cittadini hanno bisogno di conoscere il più possibile tutto quello che ha rilievo sociale e politico». Sembra un'anticipazione delle polemiche durissime, sotto la levigatura di una scrittura colta, di queste settimane. Berlusconi non è più a Palazzo Chigi e la colla che ha tenuto insieme professori e toghe per tanti anni non regge più. L'inchiesta sulla trattativa fra Stato e mafia è l'occasione per un conflitto devastante. La procura di Palermo intercetta il Quirinale e antiche alleanze e consuetudini saltano di botto: Violante contro Ingroia e il partito dei giudici, Caselli contro Violante e Zagrebelsky contro Scalfari, con una sfida a puntate che si annuncia interminabile, come una saga. Alla fine tutti contro tutti nell'esplosione di un cosmo che sembrava un monolite ed era invece la somma di tanti violini solisti.


di Stefano Zurlo

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