Magistratura

"Io quello lo sfascio". Il crescendo dei toni da Ruby alle stragi

Un assalto condito di asprezze verbali e culminato con il delirante sospetto di aver organizzato gli attentati di mafia

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«Quello è una chiavica, se mi capita sotto gli faccio il mazzo». Il giudice Antonio Esposito ora nega di avere detto prima di condannare Silvio Berlusconi le parole che un commensale gli aveva attribuito. Bisogna credergli. Il problema è che, in bocca a Esposito come a qualche altro centinaio di magistrati italiani, quel proposito suona verosimile, sintesi perfetta della convinzione profonda che nel paese sul finire del millennio si aggirasse un pericolo per la democrazia, e che compito salvifico dei giudici fosse rimediare ai danni combinati dagli elettori. «Io lo sfascio», aveva tuonato Antonio Di Pietro in una leggendaria riunione del pool Mani Pulite, la macchina da guerra che nel 1994 aveva lanciato per prima l'assalto al Cavaliere. Sono passati ventinove anni, e non c'è stato un giorno di pace.

Ora che tutto è finito fa una certa impressione andarsi a rileggere una per una le asprezze di cui l'assalto fu condito e le brutalità che lo resero possibile. Ancora più impressione fa catalogare il fango lanciato per decenni addosso al Cavaliere da un apparato perfettamente oliato in cui Procure e informazione andavano a braccetto, aiutandosi a vicenda nel trasmettere al paese e al mondo il racconto giudiziario di un Berlusconi immaginario, un personaggio mitologico in cui si incarnavano il mafioso, il corruttore, l'evasore fiscale, il falsificatore di bilanci, il cacciatore di ragazze, lo stragista.

Già, lo stragista. Neanche questa accusa alla fine è stata risparmiata: Berlusconi se ne va portandosi nella tomba l'accusa demenziale di avere ordinato le stragi di mafia del 1993, compreso l'attentato che avrebbe dovuto eliminare uno dei suoi migliori collaboratori, Maurizio Costanzo. É una inchiesta senza capo nè coda, portata avanti dalla Procura di Firenze sulla base di una sfilza di sillogismi, appoggiata sulle dichiarazioni di pentiti ormai morti che riferivano parole di mafiosi morti anche loro. Eppure anche mentre Berlusconi lottava contro il male che lo ha ucciso non gli sono state risparmiate pagine intere di verbali sfuggiti al segreto istruttorio, di rapporti della Dia depositati qua e là, tutti concordi nell'indicare Berlusconi e Marcello Dell'Utri come le menti raffinatissime che avrebbero commissionato chissà perchè a Totò Riina le bombe sul continente. Ora l'indagine verrà archiviata per «morte del reo», la formula insensata prevista dal codice penale: a meno che la Procura di Firenze non riconosca di avere inseguito calunnie e veleni scambiandole per verità possibili. Sarebbe un pregevole gesto postumo di onestà intellettuale.

Anche prima che Luca Palamara alzasse il velo dell'ipocrisia, era chiaro a tutti che dentro la magistratura e le sue correnti organizzate la parola d'ordine è stata per anni l'organizzazione dell'assalto finale al Cav, e che intere carriere si sono costruite sulla militanza nella Wagner incaricata dell'assalto (specularmente, nello stesso periodo, venivano affossati i pochi magistrati colpevoli di avere sconfessato i teoremi delle Procure). Sono accadute cose senza precedenti. I giudici del processo per i diritti tv che escono dalla camera di consiglio con centinaia di pagine di motivazioni già scritte. Il giudice del processo d'appello che manda i medici fiscali a Palazzo Chigi per verificare che Berlusconi abbia davvero un'infezione agli occhi (verissimo, scriveranno i dottori). La procura che indaga per mesi sulla morte per cause naturali di una povera ragazza, testimone del processo Ruby, dando agio ai soliti giornali di scrivere - tra le righe ma non troppo - che è stata avvelenata dal Cavaliere. Un'altra procura che indaga in segreto Berlusconi come finanziatore o finanziato di Cosa Nostra, non si è mai capito bene: l'indagine finisce in nulla, ma è tutta farina pronta per impastare la nuova inchiesta di Firenze. Nel frattempo si sgonfia anche l'indagine sulla presunta trattativa Stato-Mafia, lì Berlusconi non era indagato e i giudici ne approfittano per dire nella sentenza cose terribili su di lui: tanto non può difendersi.

Adesso dovranno cercarsi un altro nemico.

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