Politica

«Italiani vi ho truffato ma sono pentito»

nostro inviato a Bahia
Entra nella hall dell’hotel a cinque stelle in bermuda, maglietta bianca e infradito. La testa, lucida come una palla di biliardo, è protetta da un cappellino. Sembra un brasiliano, come tanti altri. Eppure i colli degli italiani, che sorseggiano il caffè ai tavolini, si allungano come giraffe. Sì, l’hanno riconosciuto subito: Mario Pacecho Do Nascimento è ancora popolare. Lui se ne accorge, si siede al bancone del bar, ordina un succo, poi gira di scatto la sedia e fissa con aria di sfida quel gruppo di nostri connazionali. Dietro la vetrata del Blue tree towers si vede la skyline festosa e disperata di Bahia, il mare, i grattacieli e le favelas, la cornice di un clima perennemente estivo. «Guarda come mi osservano», saluta il mago di Wanna Marchi e subito pronuncia una frase irriferibile sulle bellezze locali che adornano la comitiva.
Do Nascimento aveva tagliato la corda a fine 2001, quando la denuncia televisiva di una pensionata milanese, Fosca Marcon, aveva alzato il sipario sull’incredibile catena di montaggio delle truffe messa in piedi da Wanna Marchi e dalla figlia Stefania Nobile. E la sentenza, che l’aveva condannato a 4 anni con il rito abbreviato, aveva ironizzato sul «maestro di vita che ha dimostrato di essere tale solo nel momento in cui si è eclissato sottraendosi all’esecuzione della misura cautelare». Lui, ormai solo un ex, non gioca sulle parole e non prova a camminare come un funambolo sui concetti. Anzi: «Ho sbagliato – è il suo esordio – ho illuso la gente, vendevo illusioni ed ero io per primo ad essere sorpreso del fatto che le persone seguissero ed eseguissero i rituali che venivano loro prescritti». Quando il capitano della Guardia di finanza Piergiuseppe Cananzi fece irruzione a Milano nel quartier generale dell’Asciè, trovò le schede relative a trecentomila clienti. Il campione di un’Italia profonda e arcaica che naviga su Internet ma affida il proprio destino a manciate di sale, rametti di menta e bastoncini dalle forme esoteriche. «Ho sbagliato, ma sai, quando il tenore di vita sale e cominci a stare bene, a guadagnare bene, a vivere bene, allora metti da parte i tuoi valori, cerchi di non pensare e vai avanti così, cullandoti nel benessere».
Sospira. Si aggiusta il cappellino, si stropiccia gli occhi, ultrasensibili alla luce abbagliante di Bahia. Decide di inforcare gli occhiali da sole. Ha 44 anni, ma apparentemente non è cambiato: fisico imponente, palestratissimo, bicipiti esibiti. Solo i capelli, una volta una cresta multicolore, l’hanno tradito. E lui ha deciso di liberarsi di loro: «Non volevo far vedere la piazza – spiega sfoderando il cranio – e allora mi sono rasato a zero». La vita, però, è un’altra cosa: «Sono tornato qui a Bahia da mia madre. Ha fatto la domestica per una vita, adesso vive con la pensione minima che non supera l’equivalente di 100 euro al mese. Certe volte non ho nemmeno i soldi per portarla dal medico; sai, qui in Brasile, la sanità pubblica praticamente non esiste. E allora devi pagare, ma io i soldi non ce li ho».
Questa volta è il cronista a scrutarlo incredulo. Lui non fa una piega. Si toglie gli occhiali da sole e litiga un’altra volta con gli occhi. «Io sono tornato in Brasile con una valigia. Io ho lasciato a disposizione del pubblico ministero di Milano il conto in banca che avevo a Lugano, le mie due auto, la Smart e la Mercedes, la torre che avevo comprato e ristrutturato vicino Biella». Beh, mettere a disposizione è un’espressione un tantino azzardata; nella realtà il Pm ha sequestrato tutto quello che ha trovato. Il mago ha un riflesso dei tempi migliori e para la stoccata: «Sì, è vero, hanno bloccato tutto ma io non ho fatto pressione, non mi sono opposto, ho dato mandato al mio avvocato, Monica Miserotti, di collaborare su tutta la linea. L’unica cosa che mi ero portato via era la mia casa». La casa? «Sì, avevo caricato i miei beni sulla nave, ma giustamente – e nel pronunciare l’avverbio pattina a lungo sulla g – la Guardia di finanza ha sequestrato il container a due giorni di navigazione da Bahia e l’ha riportato in Italia». L’elenco, minuzioso, delle merci inventariate è davvero un catalogo da teleasta di dubbio gusto. Il reperto numero 13, per esempio, è formato da prodotti per l’igiene personale, il numero 16 è un bidone metallico, il 17 un tronco il legno, il 70 secchi e stracci, il 75 una vaporella.
Lui riassume con una parola: «Robaccia. Era robaccia. Non quadri o tappeti di gran valore. No, robaccia». Insomma, dov’è finito il tesoro del mago? «Se ci fosse stato il tesoro di Do Nascimento non sarei qui a parlare con te. La verità è che sono partito povero dal Brasile e povero sono tornato in Brasile». E il leggendario tesoro delle Marchi? Do Nascimento si concentra, riflette, medita. Infine partorisce una risposta cautissima, anoressica: «Non credo esista nemmeno un tesoro delle Marchi». E allora dove sono finiti i soldi? Il maestro di vita incespica sulle parole, si contorce, dilata le pupille, infine allarga le braccia. Rassegnato: «Erano troppi soldi».
Si alza, va alla vetrata e indica col dito la favela di Moro da Paciencia, a precipizio sul mare: «Bahia è la Montecarlo brasiliana, ma è rovinata dalle favelas, dalla violenza, dalla povertà. Sai, io sono nato povero, mio papà se n’è andato di casa come tanti uomini in Brasile, io da ragazzo ho fatto il commesso, poi il cameriere. Infine, nel ’91, la grande opportunità l’Italia, la casa del marchese Capra de Carrè in via Senato a Milano. Cucinavo per i ricchi, vedevo solo argento e fiandra, ho conosciuto tante persone e fra loro Wanna Marchi e la figlia Stefania. Un giorno Wanna e il marchese mi hanno affibbiato quel nomignolo, maestro di vita, e mi hanno proposto di andare in tv a vendere le alghe scioglipancia, i numeri fortunati e le creme. Ho accettato, ma l’ingordigia mi ha fregato. Ho nostalgia dell’Italia».
Adesso Mario Pacecho Do Nascimento piange. Per davvero. Le mani sugli occhi, il testone, vagamente somigliante a quello di Adriano, abbassato, la visiera del cappellino inclinata a garantire un briciolo di privacy. Fa spegnere la telecamera, accesa per L’antipatico di Maurizio Belpietro (l’intervista è andata in onda ieri sera su Rete 4). «Chiedo scusa agli italiani, scusa, scusa, scusa. Ma chiedere scusa è poco, io dovrei chiedere perdono, ma il perdono lo dà solo Dio. Ho fatto del male, sono stato villano, sono stato vigliacco, vedevo che delle cose non andavano, vedevo le telefonate finte, ma non ci pensavo, non volevo pensarci, è stata l’ingordigia. Guadagnavo bene, facevo una bella vita, speravo che il gioco durasse anche se mi sembrava incredibile che la gente si fidasse di me. Altro che mago o maestro di vita. Non so neanche leggere la mano o le carte, non so nulla degli oroscopi. Niente di niente».
Eppure il suo tocco di esotico ha portato a fondo migliaia e migliaia di italiani. I loro risparmi. Le loro famiglie. I loro affetti. E, alla fine del naufragio, pure lui. «Le Marchi, secondo me, pensavano che l’Asciè non avrebbe mai chiuso, che sarebbero andate avanti all'infinito. Loro si consideravano assolute, insomma al di sopra di tutto e di tutti. Alla fine, non ci siamo neanche salutati. Credo che abbiano augurato il male anche a me».
Da cinque anni, Do Nascimento vive a Bahia. «Avevo aperto con un socio un salone per il taglio dei capelli. Per noi lavorava una manicure e un ragazzo che dava una mano. Poi è arrivata Striscia, seguita a ruota da una tv brasiliana. Un disastro. Abbiamo chiuso. Sopravvivo con dei lavoretti, ma non è facile, non sono più giovane. E’ vero in Italia mi hanno dato l’indulto, la pena da scontare è ridotta a un anno, poca roba. Ma legalmente la mia posizione non è ancora chiara e il mio ritorno in Italia è un punto di domanda. Per ora resto qua».
Beve un caffè, dà un’ultima occhiata agli italiani, fa ciao ciao con la mano. Infine sale sulla macchinetta che gli ha prestato un amico. E se ne va spiegando il senso della parola diventata il logo della società che per cinque anni ha spremuto migliaia di italiani: «In bahiano axè vuol dire buonumore, allegria, positività». In Italia invece l’Asciè è stata il marchio di una truffa senza precedenti.

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